Forse ricorderete le accuse di greenwashing mosse durante il recente Festival di Sanremo nei confronti di Plenitude (ex Eni gas e luce).

Una protesta nata su alcuni quotidiani e sui social. Trasferitasi poi sul fantomatico «green carpet» allestito all’ingresso del teatro Ariston, dove attiviste e attivisti di Greenpeace hanno denunciato l’ipocrisia di Eni, che si finge verde mentre nei fatti continua a puntare su gas fossile e petrolio. E, infine, approdata sul palco grazie all’elettronico (e puntuale) Stop greenwashing pronunciato da Cosmo durante un’esibizione de La Rappresentante di lista. Ma l’ambito musicale non è purtroppo l’unico utilizzato dalle big dell’oil&gas per cercare di presentarsi agli occhi del grande pubblico come attente alla tutela del clima e del Pianeta.

Tra gli altri settori ad essere strumentalizzati – a dire il vero senza trovarsi davanti troppa resistenza – c’è anche il mondo del calcio. Da quando il tema cambiamenti climatici è finalmente diventato mainstream, i principali responsabili della crisi climatica in corso, ovvero le compagnie fossili, sentono infatti fortemente sotto attacco la propria reputazione, grazie al pressing asfissiante della società civile, se vogliamo utilizzare un gergo noto a chi ama il calcio.
Cercano di uscire dunque dall’area di rigore in cui si sono rintanate.

Come? In alcuni casi facendo sportwashing. Ovvero cercando di sfruttare i valori positivi che lo sport porta con sé, per nascondere il proprio impatto negativo su ambiente e clima del Pianeta. è, ad esempio, la stessa Eni a spiegare i motivi che l’hanno spinta negli ultimi anni a sponsorizzare le 19 nazionali della Figc, tra le quali spicca la compagine guidata da Roberto Mancini, impegnata questa sera a Palermo nei playoff di qualificazione per il prossimo mondiale.

In risposta a una domanda di Greenpeace su quanto investe nella sponsorizzazione delle nazionali di calcio italiane, Eni ha ammesso che «il presupposto di base della partnership con la Federazione Italiana Giuoco Calcio è il valore del calcio come simbolo unificante del nostro Paese e come efficace driver di comunicazione, con un forte interesse e coinvolgimento emotivo della grande maggioranza della popolazione».

Sarà sicuramente una circostanza del tutto fortuita, ma la sponsorizzazione da parte di ENI delle nazionali azzurre è iniziata nel maggio 2016. Pochi mesi dopo il raggiungimento dell’Accordo di Parigi, ovvero quello che viene universalmente considerato come l’evento spartiacque quando si parla di presa di coscienza collettiva e impegno politico in fatto di crisi climatica.

Parentesi: ma quindi a quanto ammonterebbe il costo di questa sponsorizzazione? Beh, non è dato saperlo. «In considerazione della rilevanza strategica dell’accordo – ha spiegato l’azienda sempre in risposta a Greenpeace Italia – si ritiene che l’eventuale pubblicazione del dato relativo al valore della sponsorship possa arrecare pregiudizio agli interessi economici e commerciali delle parti contraenti».

Una partnership «molto importante in termini economici e politici», nonché «un aiuto al Bilancio». Così viene definita la collaborazione tra la Lega Nazionale Dilettanti Basilicata ed Eni nella Relazione sulla gestione del biennio 2018/2019 e 2019/2020 dell’ente calcistico lucano. «1Una importante operazione di sponsorizzazione», si legge ancora nel documento, «che ha permesso al Comitato di ottenere un cospicuo sostegno all’attività del biennio ma soprattutto, ha consentito di organizzare una serie di eventi su tutto il territorio regionale, sugli importanti temi della promozione dell’attività calcistica con risvolti da un punto di vista sociale, di cura delle strutture sportive e del benessere psico-fisico».

Anche in ambito più locale, le aziende dell’oil&gas cercano dunque di preservare una buona immagine sponsorizzando attività culturali, sanitarie, ma anche sportive. Proprio come ha fatto il Cane a Sei Zampe per diversi anni in Basilicata. Ovvero quella stessa regione in cui opera nel più grande giacimento petrolifero onshore d’Europa, tra vicissitudini giudiziarie, impatti ambientali e forte opposizione da parte della comunità locale.

A differenza dell’accordo con la Figc, le cui cifre come abbiamo già descritto non sono note, sui bilanci 2018/2019 e 2019/2020 delle Lega Nazionale Dilettanti Basilicata Greenpeace Italia è riuscita a trovare a quanto ammonterebbe, per queste due annate, il contributo di Eni al calcio lucano. Sia nel 2018/2019 che nel 2019/2020 il Cane a sei zampe avrebbe dato circa 110 mila euro all’ente calcistico. Abbiamo provato a chiedere ulteriori informazioni su questa collaborazione alla Lega Nazionale Nazionale Dilettanti Basilicata, ma senza ricevere risposta.

Una strategia simile a quella di Eni in Basilicata è stata adottata, più in grande, anche dal gigante fossile francese Total Energies in Africa. La compagnia transalpina, infatti, è diventata title sponsor della Coppa delle Nazioni Africane nel 2016, con un accordo pluriennale.

Come spiegava nel 2017 il giornalista francese Antoine Glaser, «questa sponsorizzazione è molto importante in termini di immagine per Total, che deve affrontare la concorrenza locale oltre a grandi gruppi internazionali. L’azienda ha lanciato molti progetti intorno allo sviluppo sostenibile, ma che emozionano i giovani africani meno del calcio, che è lo strumento numero uno del soft power».

E per TotalEnergies è ovviamente fondamentale mantenere una buona reputazione in un continente in cui ha 13 mila dipendenti in 43 paesi, che rappresenta il 30% dei suoi investimenti e in cui pianifica di realizzare opere come il contestato East African Crude Oil Pipe Line (EACOP), un oleodotto che si estenderebbe per circa 1.445 chilometri.

Un’opera mastodontica che, spiega Rivista Africa, dovendo attraversare per 460 chilometri il bacino del Lago Vittoria ed essendo interrata, preoccupa molto dal punto di vista ambientale, come denunciato anche da Oxfam International, «che accusa Total di aver scelto il metodo di costruzione meno caro e meno sicuro». Un incidente in un ecosistema così fragile e così importante avrebbe conseguenze devastanti per l’ambiente e per le popolazioni locali, che vivono grazie all’economia generata dalla più grande distesa di acqua dolce del continente africano.

«We light up football», «Noi accendiamo il calcio». Per anni questo è stato lo slogan utilizzato dal gigante russo Gazprom per la sua sponsorizzazione della Uefa Champions League, la competizione per club più importante del Vecchio Continente. Un caso di soft power più legato alle questioni geopolitiche che abbiamo purtroppo imparato a conoscere molto bene in queste settimane, con lo scoppio del conflitto in Ucraina, che agli esempi fatti in precedenza. Ma che, fino allo scorso 28 febbraio, quando la Uefa ha deciso di interrompere la partnership in corso (Gazprom era sponsor anche dei campionati europei per nazioni), ha contribuito a mantenere un’immagine positiva nel Vecchio Continente dell’azienda e del suo operato, basato su quegli stessi idrocarburi che stanno finanziando l’atto di guerra in corso in Ucraina.

Secondo voci riportate da Repubblica lo scorso 9 marzo, a prendere il posto di Gazprom tra gli sponsor della Champions League potrebbe essere Qatar Airways, compagnia di bandiera di un altro Stato che fonda la propria ricchezza principalmente sullo sfruttamento di fonti fossili.

Per Greenpeace il mondo del calcio, dello sport, della musica, della cultura, dell’informazione e dell’istruzione dovrebbero essere liberi dalla pericolosa propaganda dell’industria dei combustibili fossili, così come sono già da tempo liberi dalle sponsorizzazioni dell’industria del tabacco. Per chiedere una legge europea che vieti le pubblicità e le sponsorizzazioni dell’industria delle fonti fossili, l’organizzazione ambientalista ha lanciato un’Iniziativa dei cittadini europei, cioè una petizione ufficiale in grado di obbligare la Commissione Europea a discutere la proposta di legge, se verrà raccolto un milione di firme. È ora di dire basta alle pubblicità inquinanti e tornare a vivere le nostre passioni senza pensare che possano essere strumentalizzate da chi distrugge il clima o mette in pericolo la pace sul nostro Pianeta.