Quando, a inizio gennaio, lo Shanghai SIPG portò via al Chelsea il centrocampista brasiliano Oscar, l’allenatore della squadra inglese, Antonio Conte, in conferenza stampa commentò: «Il mercato cinese è un pericolo, un pericolo per tutte le squadre del mondo. Dobbiamo sforzarci di non pensare che in Cina ci sono molti soldi e che possono arrivare e prendersi i nostri giocatori».

A parlare era la pancia del sistema calcistico europeo, quello delle grandi squadre abituate a dominare campionati e mercato e ora spiazzate dalla cascata di investimenti cinesi che sta inondando il calcio globale.

Emergeva così lo sconcerto prodotto dalla forza economica di Pechino e la paura del vecchio continente di diventare sempre più irrilevante persino nello sport che, più di tutti, ha da sempre dominato.

IL SOGNO CINESE DEL PALLONE

Le ambizioni calcistiche della Cina non sono certo un segreto. Il presidente Xi Jinping lo afferma dal 2011. Durante una visita istituzionale in Corea del sud, l’allora vicepresidente elencò i capisaldi del sogno cinese del pallone: qualificarsi per un Mondiale, ospitare un Mondiale e vincere un Mondiale entro il 2050.

Per realizzare questo sogno è necessario guarire l’endemica, imbarazzante inadeguatezza della nazionale di calcio maschile, ma l’approccio scelto da Pechino è composito e prevede azioni sia al di qua che al di là dei confini cinesi.

Si va dall’importazione con ingaggi record di campioni stranieri per innalzare il livello di gioco nella Super Lega nazionale (l’equivalente della serie A), all’arruolamento di mister europei per introdurre tecniche di allenamento e di gioco all’avanguardia sia nei club che nella nazionale cinese (da ottobre 2016 la guida Marcello Lippi).

Si va dall’imposizione del calcio come sport curricolare nelle scuole, con la costruzione di decine di migliaia di campi da gioco in altrettanti istituti del paese, alla promozione di accademie per diventare calciatori professionisti.

Ne è un esempio quella fondata dall’Evergrande Guangzhou, il più forte club cinese: lì, in un campus sterminato, decine di allenatori spagnoli provenienti dall’Atlético Madrid insegnano ai ragazzini cinesi i fondamenti del tiki-taka.

All’estero, invece, sono le aziende del paese – colossi privati, ma tutt’altro che indipendenti dalla politica – a portare avanti il diktat supremo di Xi Jinping: andate e rendete grande il calcio cinese. È così che a Pechino interpretano gli investimenti come quello fatto da Suning, marchio della grande distribuzione di prodotti elettronici, nell’Inter.

L’acquisizione della squadra milanese non è il gesto romantico di un imprenditore innamorato del «bel gioco», ma non è nemmeno un investimento senza cuore, che punti puramente alla speculazione e al guadagno. Pur non mancando l’elemento del marketing – sfondare, grazie al nome del club, in un ricco mercato – a contare più di tutto sembra essere la missione nazionale.

CALCIO E PATRIOTTISMO

La realizzazione del «sogno cinese» (Zhongguo meng) è la promessa che Xi Jinping ha fatto al paese: un sogno dai contorni vaghi, dove l’elemento più chiaro è la volontà di «rinascita» (fuxing) nella «nazione cinese» (Zhonghua minzu) dopo un secolo di bruciante subalternità all’Occidente (dalle Guerre dell’oppio in poi).

Calcisticamente declinato, il «sogno cinese» è così quello della rivincita sulle tradizionali potenze nello sport che i cinesi più amano e di cui l’Europa è stata la culla. Far crescere e far trionfare la nazionale di calcio è la via per manifestare al resto del mondo, ma soprattutto ai cinesi stessi, quanto è grande la loro nazione – e il partito che da quasi 70 anni la guida.

Come ricorda anche Susan Brownell, una studiosa americana che nel curriculum vanta una giovinezza passata in Cina e la partecipazione ai giochi studenteschi nazionali insieme ai compagni di college cinesi, fin dai tempi di Mao lo sport è stato utilizzato dal partito comunista cinese come leva di patriottismo.

La retorica patriottica tocca sia chi lo pratica che chi lo guarda: il compito degli atleti cinesi è vincere per la patria e far risuonare l’inno nazionale; e le vittorie degli atleti sono, per il resto della popolazione, una prova della forza e della grandezza del proprio popolo.

INVESTIMENTI DI SISTEMA

Traccia di tutto questo si trova nei testi pubblicati dai media cinesi all’indomani dell’acquisizione dell’Inter da parte di Suning, nel giugno dello scorso anno. Analizzando un corpus di articoli di commento che ho selezionato da testate sia commerciali e generaliste, come il Xinjingbao (Beijing News), sia di settore, come il Titan Zhoubao (Titan Sport) e da testate governative, come l’agenzia di stampa Xinhua (Nuova Cina), si possono individuare interessanti elementi discorsivi legati a quattro dimensioni: commerciale, sportiva, culturale e politica.

Tra le considerazioni presentate negli articoli che potremmo riferire a una dimensione commerciale, spiccano le riflessioni sui rischi dell’investimento di Suning, rischi legati alle difficoltà in cui si è trovata la squadra milanese negli ultimi anni e, più in generale, al fatto che, come scrive il Xinjingbao, «l’economia della serie A non è particolarmente solida e sia l’Inter che l’AC Milan sono squadre in declino».

Sul fronte delle opportunità di marketing, invece, Xinhua sottolinea che l’operazione sarà fonte di «benefici commerciali per l’azienda» legati soprattutto all’aumento della sua notorietà all’estero, elementi utili per guadagnare «una posizione strategica nel mercato internazionale».

Ma non solo: per il Xinjingbao, «l’acquisizione ha un significato molto importante per la strategia di internazionalizzazione dell’intero settore». L’investimento di Suning appare non come la mossa autonoma di un’azienda, ma come parte di uno sforzo di internazionalizzazione che riguarda l’intero sistema-paese.

Sul fronte più propriamente sportivo, il Titan Zhoubao afferma che gli scambi tra Inter e Suning aiuteranno anche a «migliorare la competitività e le prestazioni del Jiangsu Suning», squadra della Super League cinese di proprietà della stessa azienda, ma poi aggiunge che «l’acquisizione dell’Inter avrà ricadute positive sull’intero settore dello sport cinese».

E c’è di più: per Xinhua, l’iniziativa di Suning potrà addirittura essere di «esempio per altre aziende cinesi che ambiscono a entrare nell’industria dello sport e del calcio», che potranno «imparare dall’esperienza di Suning trovando la propria formula per supportare la crescita dell’industria dello sport cinese e per sviluppare il calcio cinese». Emerge anche qui l’idea che investire nel calcio globale sia parte di una missione collettiva, e non una privata iniziativa.

Una posizione che si ritrova anche quando il discorso verte sui risvolti interculturali dell’investimento. Xinhua afferma che «il successo dell’operazione dipenderà anche dalla capacità di fusione culturale e ideale di Suning con il club milanese», vale a dire dalla «capacità di Suning di adattarsi alla cultura italiana e di fondersi positivamente con la squadra italiana».

A questo sforzo si affianca la possibilità per Suning di «diffondere il modello commerciale e di management cinese»: ancora una volta, dell’azione della singola azienda si sottolineano i benefici per la promozione dell’intero sistema cinese, anche nei suoi aspetti culturali.

LA VETRINA DEI GIOCATTOLI

Questa tendenza si fa ancora più marcata quando si analizza la dimensione politica del discorso imbastito dalla stampa cinese sul caso Suning-Inter. I riferimenti a questo tema sono presenti in quasi tutti gli articoli raccolti, ma una delle immagini più efficaci è quella presentata dal Titan Zhoubao.

«In passato – scrive il settimanale sportivo – i tifosi cinesi erano come dei bambini che fissavano con invidia la vetrina di un negozio di giocattoli», sapendo di non poterli avere. Oggi che sono cresciuti, però, «hanno scoperto di poter comprare agevolmente quei giocattoli che da piccoli sembravano irraggiungibili».

Ecco allora che, «con la crescita della potenza economica cinese e con il continuo aumento del potere nazionale, l’atteggiamento dei fan cinesi nei confronti delle leggende del calcio di Milano è passato dall’adorazione e dall’ammirazione incondizionate del passato a una visione razionale».

È la consapevolezza dei propri mezzi e del «maggiore potere di parola» che la Cina ha ormai acquisito nei circuiti del calcio internazionale, tanto che «la ‘vecchia Europa’ non può più evitare di fare i conti con la forza cinese e con la legittima richiesta che l’Inter potrà ora avanzare di abbandonare l’orario tradizionale di inizio delle partite per adeguarsi al fuso orario cinese e soddisfare così il pubblico cinese».

RISCATTO NAZIONALE

Un senso di rivalsa emerge con chiarezza in passaggi come questi. Il discorso della stampa cinese sull’acquisizione da parte di Suning, che tende a identificare il successo di un intero Paese con quello di un’azienda privata a capitale cinese, trova nella «conquista» di una squadra di calcio europea un simbolo di riscatto di tutti i cinesi da un passato inglorioso.

In questa narrazione, le singole aziende e i singoli imprenditori che, non solo in ambito sportivo, sono i protagonisti di un boom di investimenti in Europa senza precedenti, sono la manifestazione di un potere d’acquisto (goumaili) che non appartiene all’azienda, ma a tutta la Cina.

E questa forza commerciale, che risponde agli appelli della politica e ad essa si appoggia, è presentata come una forza collettiva e come una manifestazione del potere del paese (guoli) nel mondo. La centralità della politica negli investimenti cinesi nel calcio globale non è però soltanto un elemento discorsivo.

Il caso dell’altra squadra milanese lo suggerirebbe: se Li Yonghong, l’oscuro imprenditore che sta guidando la scalata al Milan, non riesce a concludere l’affare è anche perché – si mormora in Cina – gli mancano le giuste amicizie politiche.

  • Università di Milano