Negli ultimi giorni il nome di Rosella Sensi è rimbalzato su web e quotidiani come possibile successore alla guida della Lega Nazionale Dilettanti di Felice Belloli, sfiduciato giovedì dal Consiglio direttivo della stessa Lega dopo le note frasi sul calcio femminile («Basta soldi a queste quattro lesbiche»); una possibilità fugata sia dalla diretta interessata, che nei giorni scorsi ha smentito i rumors, sia dal regolamento della stessa LND che prevede l’elezione (e non la semplice nomina) del presidente da parte dell’Assemblea di Lega.

Rimane il fatto che Rosella Sensi è una donna di calcio da lunghissimo tempo. Figlia di Franco Sensi (presidente del terzo scudetto della Roma), è stata prima amministratore delegato della squadra giallorossa divenendone poi, dal 2008 al 2010, presidente.

L’esperienza maturata in questi anni di lavoro nella giungla del calcio italiano ha spinto il presidente della Figc Carlo Tavecchio a nominarla coordinatrice della “Commissione Federale per lo Sviluppo del Calcio Femminile”, incarico assunto con favore lo scorso 27 febbraio perché «il calcio è una passione forte, che ho iniziato a fare mia fin da piccola: ha sempre fatto parte del dna della mia famiglia».

E proprio a partire dal caos di questi giorni scatenato da Belloli, abbiamo parlato con lei del calcio femminile, del suo rinnovamento e del ruolo delle donne in un mondo da sempre considerato appannaggio esclusivo degli uomini.

Gli ultimi accadimenti ci parlano dell’urgenza di riformare il sistema sportivo femminile. Dal suo punto di vista quali sono le priorità su cui intervenire?

«A livello federale stiamo procedendo in sintonia con quelli che sono i nuovi orientamenti promossi dalla FIFA e dalla UEFA, ed è su questa lunghezza d’onda che vorremmo continuare a procedere in termini di investimenti programmatici, marketing e comunicazione. Per ciò che invece riguarda il lavoro di commissione dobbiamo provare a ragionare su due piani distinti. Deve esserci infatti sia un impegno di programmazione più lunga che ci consenta di avvicinare gli standard di paesi all’avanguardia nella promozione dello sport femminile – penso alla Germania, alla Francia, agli Stati Uniti, ma anche a Polonia e Giappone – sia la capacità di intervenire in maniera immediata nelle scuole, ovvero in quel contesto in cui lo sport può essere un volano formativo di grande importanza, un mezzo di integrazione. Anche per questo prossimamente con il presidente Tavecchio abbiamo intenzione di incontrare il ministro Giannini».

Che tipo di esperienza porta in dote nella Figc dopo aver lavorato a lungo nel mondo della Seria A e della Lega Calcio?

«Nella Serie A maschile si parla di grandi numeri in tutti i sensi. Da presidente della Roma dovevo fare i conti con le responsabilità di un club che, secondo gli indicatori FIFA, risultava essere il 10° più conosciuto al mondo; c’era bisogno di un approccio diverso. Ora invece a muovermi e a darmi slancio è la passione per questo sport ma soprattutto la passione che leggo nei sacrifici e nei risultati di queste atlete, che gareggiano con impagabile abnegazione ad ogni livello. Qualche tempo fa Renzo Ulivieri (presidente Associazione Italiana Allenatori Calcio, ndr) mi chiese cosa mi avesse spinto qui: gli ho risposto “la passione che leggo negli occhi delle ragazze”. Ecco, credo sia questa la dote principale che porto: quella passione che sembra venir meno quando leggiamo di spiacevoli fatti che però, sia chiaro, con il calcio non dovrebbero avere nulla a che fare».

Il movimento sportivo femminile non trova rappresentanza in una propria Lega, in un organo autonomo. Ha mai ragionato sull’idea di chi propone la costituzione di un simile soggetto? Crede possa essere una elemento capace di dare un contributo positivo allo sport femminile?

«Io credo che la questione di un rinnovamento e di un miglioramento dello sport femminile non passi da una separazione “di genere” delle istituzioni che lo governano. Voglio dire, cioè, che è lo sport in quanto tale che va tutelato, migliorato e reso accessibile a tutti: perché allora frazionare gli enti preposti a questo lavoro? Il contributo delle atlete e degli atleti, in questo senso, può essere importante perché dalle loro indicazioni possiamo mappare in maniera adeguata le lacune presenti ed intervenire. Ma questo percorso deve essere compiuto senza divisioni. Non si tratta di una questione di genere, ma di organizzazione e progettualità».

…fermo restando che negli organi esistenti bisogna intervenire contro le discriminazioni che riguardano le atlete…

«Assolutamente, deve essere una priorità. E lo dice una donna che ha lavorato a lungo nel mondo del calcio maschile».

A questo proposito, lei nel 2003 ha ricevuto il premio Bellisario per essersi distinta come unica donna ad essere Amministratore Delegato di una società di Serie A, oltre che per i meriti nella gestione manageriale del club. A 12 anni da quel premio crede che l’impegno delle donne in un mondo a misura “d’uomo” sia oggi più valorizzato oppure nota ancora l’esistenza di barriere culturali?

«Ho sempre ritenuto il calcio maschile, la Serie A e la Lega Calcio come terreni estremamente difficili da calcare, ma questo indipendentemente dall’essere donna. È stata un’impressione che ho avuto fin dalle prime assemblee di Lega. Ora vedo in questo universo molte più donne di quante ne vedessi da addetta ai lavori nella Roma: credo sia sintomatico di un mondo in apertura, nonostante le contraddizioni che vive il calcio di oggi. Penso ad esempio a Valentina Maio, presidente della Virtus Lanciano; ma non dimentico neanche quel mondo maschile che mi ha permesso di essere due volte di seguito vice-presidente della Lega Calcio. Rimango convinta che anche in questo campo, come in tanti altri nella vita, costanza e determinazione alla fine paghino».