Una lega con potenziale di crescita, nonostante i debiti strutturali, gli stadi disfunzionali, in alcuni casi a pezzi, dirigenti che pensano sempre prima agli interessi di parte. Addirittura incamerando dalla Lega di A il famoso salvagente garantito a chi retrocede, pur finendo il campionato lontano dalla zona salvezza. Con l’Atalanta che finisce a una cordata americana (55% delle azioni) con a capo Stephen Pagliuca, azionista anche dei Boston Celtics (Nba) sono nove (sette in A) le proprietà nel calcio italiano che arrivano dall’altro lato dell’Atlantico. Davvero tante. E se non sfugge l’affare, si potrebbe scrivere la maxi plusvalenza, per la famiglia Percassi – acquisto del club nel 2010 a 14 milioni, ora cessione della maggioranza a 400 milioni -, altrettanto non sfugge all’occhio che dei top club solo Napoli e Lazio restano in mani italiane. Non è un caso, per De Laurentiis e Lotito reggere il peso dei conti sarà sempre più complicato.

ORA, L’ATALANTA era di sicuro un affare: club con saldo più che in attivo, centro sportivo di proprietà così come lo stadio ristrutturato da poco, un settore giovanile in salute, una crescita consolidata anche nelle coppe europee. Ma lo stesso non si può dire, per esempio, sull’investimento della famiglia Friedkin sulla Roma (già messi 315 milioni nel club), società gloriosa ereditata dalla gestione di un altro yankee come James Pallotta (pure lui azionista dei Celtics) ma con un pacchetto di debiti infinito. Poco importa, il calcio italiano tira negli States. Poco prima della cessione dell’Atalanta è stato il Genoa a finire in mani americane, al fondo 777 Partners, in precedenza è arrivato Krause al Parma, poi l’avvocato Joe Tacopina (ex Catania e Venezia) che si è preso la Spal. Poi la famiglia Piatek allo Spezia, prima ancora, per quasi 180 milioni di euro, il magnate delle telecomunicazioni Rocco Commisso ha scelto la Fiorentina, preceduto dal fondo Elliott che invece ha virato sul Milan, da rilanciare e poi vendere con profitto. Secondo una recente analisi del Financial Times, la Serie A è un attrattore di capitali americani e le motivazioni sono molteplici, in primis le società costano meno rispetto alle franchigie americane nella Nba, nella Nfl o nella lega del baseball.

INOLTRE c’è la questione della commercializzazione dei diritti tv: secondo gli americani possono rendere assai di più e forse la Lega di A c’era anche arrivata, prima di lasciar scappare il private equity pronto a entrare nella newco che avrebbe dovuto vendere i diritti tv, sfilando un po’ di potere ai presidenti di A. E anche prima di vendere i diritti a Dazn per tre anni, incassando il 4,7% in meno (840 milioni di euro) rispetto al precedente accordo con Sky.
Nei diritti televisivi ci sarebbe il margine per decollare, per avvicinarsi alla Premier League, che pure interessa ma per sbarcare nel Regno Unito servono risorse infinite, come quelle della famiglia Glazer al Manchester United. E poi ci sarebbe un altro asset importante, la valorizzazione dei ricavi da stadio, il punto fisso nel progetto per esempio di Commisso a Firenze, che sinora non è riuscito a strappare l’accordo per un nuovo impianto. In ogni caso, l’attrazione degli americani per il calcio europeo è divenuta una mania: 47 club di proprietà, oltre il 60% delle acquisizioni è avvenuta nell’ultimo triennio, come ha rivelato l’indagine del Cies, il centro studi di cui si serve l’Uefa. E potrebbero arrivarne altri, mentre i cinesi battono la ritirata su ordine di Pechino e i milionari russi sono rimasti in pochi, così come gli sceicchi, che preferiscono investire in Premier League.