Correre con le stampelle non è certamente facile, ma per quelli del calcio amputati è la normalità come le rovesciate, i dribbling e le entrate sul pallone. Un movimento molto giovane, nato nel 2012, ma in costante crescita. Oggi sono una quarantina gli atleti che lo praticano a livello agonistico dando vita al campionato italiano, la cui terza edizione è iniziata ad aprile e terminerà l’11 luglio a Genova. Quattro le squadre che vi partecipano: Nuova Montelabbate, Levante C Pegliese, Fabrizio Miccoli e Vicenza, campione in carica e fresco della conquista del terzo posto in Champions League a Gaziantep (Turchia) in una rassegna che ha visto per la prima volta partecipare una squadra italiana e ottenere un importante riconoscimento con Alejandra Argento, mister della squadra veneta, come miglior allenatrice della competizione.

Non è un numero elevato di calciatori a cui può attingere il commissario tecnico della nazionale, Renzo Vergnani, o per lo meno non paragonabile a quello del suo collega turco che può vantare un bacino di circa 500 giocatori, molti dei quali professionisti, che danno vita a campionati di Serie A e B. Un altro mondo, basti pensare che alla finale del campionato europeo del 2017 a Istanbul c’erano 40mila spettatori a tifare per la squadra di casa contro l’Inghilterra (per la cronaca finita 2 a 1 per la Turchia). Oltre che in Turchia, il calcio amputati è praticato ad alti livelli in Angola (campione del mondo in carica), Ghana, Messico, Argentina, Inghilterra, Brasile, Russia e Polonia tanto per fare alcuni nomi.

«Nonostante la giovane età della nazionale italiana», racconta Vergnani, «abbiamo raggiunto traguardi notevoli. Siamo arrivati quinti al campionato europeo del 2017 in Turchia e abbiamo partecipato a due mondiali, entrambi in Messico nel 2014 e nel 2018, giungendo rispettivamente al nono e al quattordicesimo posto.
Agli ultimi mondiali messicani abbiamo vinto il girone di qualificazione dove c’erano Argentina e Francia e agli ottavi siamo stati sconfitti dall’Angola per 2-0, che poi vincerà la coppa. È stato un momento molto bello perché ci ha fatto conoscere al grande pubblico, complice anche la concomitante eliminazione della più blasonata nazionale di Ventura dal mondiale in Russia. Nel 2018 potevo scegliere tra 25 giocatori, ora con l’avvio di un campionato italiano», prosegue il ct della nazionale, «la platea su cui pescare si è allargata».

Alcuni di loro sono anche delle stelle internazionali, come Daniel Priami, probabilmente il più forte portiere del mondo, Lorenzo Marcantognini, Francesco Messori, Emanuele Padoan.
Il calcio amputati deve la sua esistenza a Francesco Messori, 22 anni, di Correggio (Reggio Emilia), capitano della nazionale italiana e attaccante del Vicenza: «Sono nato senza una gamba e la mia passione per il calcio è sempre stata tanta», racconta Messori. «A otto anni ho iniziato a giocare in porta, con una protesi, nella squadra di normodotati del mio paese e poi con il tempo sono diventato un attaccante usando però le stampelle. Naturalmente facevo solo gli allenamenti e non le partite», prosegue il capitano della nazionale, «perché non mi era permesso dai regolamenti. Poi a inizio 2012, a 14 anni, il Csi (Centro sportivo italiani) mi tesserò permettendomi così di giocare anche in campionato. Non ero però del tutto soddisfatto», continua, «perché non riuscivo a divertirmi al massimo, le differenze con gli altri calciatori rimanevano troppo forti e allora decisi di fondare la nazionale calcio amputati. Sempre nel 2012 lanciai, tramite Facebook, un appello», prosegue, «per radunare altri ragazzi amputati con la mia stessa passione. Ciò ebbe successo e a giugno di quell’anno ci trovammo in una decina a Correggio per il primo torneo. A dicembre avvenne il riconoscimento ufficiale da parte del Csi della nascita della nazionale italiana di calcio amputati. Chiesi a Vergnani, anche lui di Correggio e mio allenatore sin da piccolo, se era disponibile a prendere per mano la neonata nazionale. E da allora siamo ancora assieme».

Dal dicembre 2017 il calcio amputati è tra le discipline di competenza della Fispes, Federazione italiana sport paralimpici e sperimentali (https://fispes.it/calcio-amputati), mentre a livello mondiale fa parte della Federazione internazionale calcio amputati (Waff) che ne detta anche le regole.

Le squadre sono composte da sette giocatori, sei in campo e un portiere. Chi gioca in campo è privo di un arto inferiore o comunque ha dei problemi e deve usare le stampelle, mentre il portiere ha entrambe le gambe ma una sola mano e non può lasciare la propria area pena l’espulsione e calcio di rigore contro. La partita è suddivisa in due tempi da 25 minuti ciascuno. I falli laterali si battono con il piede e non esiste il fuorigioco. Le sostituzioni sono cambi volanti, come nel basket: si può uscire e rientrare.

«Non è uno sport facile anzi uno dei più difficili per chi subisce un’amputazione», afferma Messori, «e non tutti hanno la voglia di mettersi in gioco su due stampelle con l’unica gamba che gli è rimasta. In genere chi si avvicina a questo sport prima dell’incidente era un calciatore. Inoltre, è importante avere un baricentro perfetto, basta posare la stampella un centimetro più in là e ci si sbilancia e non si riesce a calciare».
«Il prossimo appuntamento per la nazionale è a metà settembre a Cracovia in Polonia con il campionato europeo, ma l’obiettivo più grande», ricorda Renzo Vergnani, «è poter partecipare alle Paralimpiadi. Se ciò accadesse il calcio amputati diventerebbe uno sport riconosciuto a livello mondiale. Ci stanno lavorando e io sono fiducioso che presto potrà accadere». Nel frattempo «bisognerebbe far conoscere di più questo movimento», afferma Francesco Messori, «per poter contare su più giocatori. Ci servirebbero dei testimonial». Visto che il capitano e l’allenatore della nazionale calcio amputati sono entrambi di Correggio perché non chiedere un aiuto al concittadino Luciano Ligabue, grande appassionato del pallone?