Chiara Bellosi definisce Calcinculo una «fiaba», potremmo dire allora: «C’era una volta una ragazzina triste che ne incontra un’altra e la segue per essere felice»? Prima della «storia» però per la regista milanese è questione di traiettorie dei corpi, dei sentimenti, di spazi: è qui che si posiziona muovendosi lungo il bordo su cui i suoi personaggi si incontrano, e vanno verso una possibile scoperta di sé. Questo perché Bellosi è una regista, le immagini, la messinscena sono per lei il punto di partenza. Lo aveva mostrato già il suo film d’esordio, Palazzo di giustizia, e lo dichiara ancora di più Calcinculo – in sala da oggi dopo l’anteprima alla Berlinale nella sezione Panorama – che a differenza del primo di cui aveva scritto la sceneggiatura si confronta con lo script di Maria Teresa Venditti e Luca De Bei riaffermando felicemente il suo sguardo, la propria idea di cinema – a cominciare da quel lavoro sulla fisicità anche emozionale dei protagonisti, le due interpreti, Gaia Di Pietro e Andrea Carpenzano sono magnifiche – con cui si sottrae alle «costrizioni» della scrittura.

COSA è dunque «calcinculo», la giostra coi seggiolini volanti che si fa un po’ lezione (metaforica ma non troppo) di realtà? Un coming of age dell’adolescenza in una periferia romana il cui orizzonte rimane indefinito perché il paesaggio sono, appunto, coloro che lo abitano. Benedetta (Gaia Di Pietro) vive con la madre, il padre e le due sorelline in un appartamento dove si sta stretti e che la fa sentire ancora più a disagio. Sei grassa le dicono di continuo tutti. La madre (Barbara Chichiarelli) la tormenta: medici, solo foglie di insalata, lei mangia di notte ma forse a farle svuotare il frigo è anche il nodo di frustrazioni che respira intorno, la mamma che sognava una carriera di danzatrice, e invece è casalinga, il padre che lavora per il suocero.

UN GIORNO sul prato stepposo di fronte alla sua finestra arriva un luna park: insieme alle bancarelle e alle attrazioni c’è Amanda, creatura lunatica e un po’ cinica, almeno in apparenza, di cui Benedetta incrocia i passi mentre qualcuno la scaraventa giù dalla macchina. Lei lo insulta, riempie Benedetta di complimenti che per la ragazzina è strano infatti le dicono solo quanto è grassa. E poi le regala una farfalla sciogliendone i capelli, Benedetta già la ama, ma può essere davvero così semplice?
Amanda (Andrea Carpenzano) è sfuggente, muta di umore in pochi istanti, è tenera e poi sprezzante, le piace sedurre giocando con la sua sessualità fluida, non binaria, che attrae e anche spaventa. Di lei non sappiamo nulla se non ciò che ci restituisce Benedetta. È negli occhi della ragazzina che prende forma il mondo, la roulotte di Amanda diviene una scatola delle meraviglie, lei una maga che anche se crudele sa farla sentire la ragazza più bella del pianeta, e truccarsi insieme, baciarsi, scoprire il desiderio, persino le liti la fanno finalmente esistere. In fondo sono due solitudini che fanno fatica a trovare il proprio posto tra gli altri – un po’ come la mamma di Benedetta risucchiata dalla casa – e chiedono un gesto di complicità, qualcosa che le faccia sentire bene per ciò che sono.
Bellosi intreccia gli stati d’animo e i loro mutamenti nella geografia dei luoghi, in una narrazione che vive tra l’iniziale specularità che oppone la casa di Benedetta al luna park, gli interni famigliari, l’angusta casa di Amanda: una danza (ci sono diverse scene di ballo, una specialmente molto bella, che determinano altrettanti momenti chiave) che è quella del cuore. Nei rossori della ragazzina, in quel suo gesto di sciogliersi o di legarsi a coda i capelli lunghissimi appaiono la confusione e le domande che fanno parte di un’età e sono insieme universali. La regista ne raccoglie le scommesse, e mettendo da parte il «genere» del teen-movie si avventura lungo diverse piste che portano altrove, che ci dicono di una scoperta di sé e dei suoi inciampi, di una dolcezza e di uno spaesamento, dell’amore e dei suoi inganni. Degli imprevisti inattesi della vita e di un cinema capace di sorprendere.