I 320 nuovi casi positivi al coronavirus e 4 morti sembrano segnalare un rallentamento del contagio, rispetto agli oltre seicento casi giornalieri registrati la scorsa settimana. Ma il weekend di ferragosto potrebbe solo aver rallentato l’attività diagnostica, calmierando artificialmente il conteggio. Ieri i tamponi sono stati solo trentamila, ventimila in meno rispetto a sabato scorso, e il rapporto tra casi e test è rimasto di uno a cento.

ANCHE I DATI SUI RICOVERI suggeriscono di alzare l’allerta. I pazienti ricoverati nei reparti ordinari sono tornati sopra quota ottocento, con un aumento di 23 casi rispetto al giorno precedente. In terapia intensiva ci sono ora 58 persone, due in più in 24 ore. Il Lazio è stata la regione in cui si sono registrati più casi (51), davanti a Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Sei casi nella capitale vengono fatti risalire a una serata del 9 agosto al Country Club di Porto Rotondo, in Costa Smeralda. «Nessuno dei clienti portava la mascherina, soprattutto i più piccoli», è la testimonianza di uno dei ragazzi rientrati dalla Sardegna. Il timore è che nei prossimi giorni ne affiorino altri, e non solo a Roma.

La chiusura delle discoteche in pieno agosto, stavolta senza possibilità di deroga regionale, continua a agitare avventori e gestori. Domenica il ministro della Salute Roberto Speranza ha emanato una nuova ordinanza valida a livello nazionale che oltre a fermare le serate impone le mascherine dalle 18 alle 6 anche all’aperto. Non si è fatta attendere la reazione dei gestori dei locali. «Abbiamo chiesto di avere le evidenze scientifiche del legame tra l’andamento dei contagi e la frequentazione delle sale da ballo – fa notare Gianni Indino, presidente del Silb Emilia Romagna – oggi si registra un numero di contagiati che è la metà di ieri, com’è allora possibile? A Rimini, centinaia di migliaia di persone sono andati a ballare e non vi è stato nemmeno un contagio».

Non è proprio un ragionamento da epidemiologo, ma lo sconcerto è comprensibile: nel giro di una settimana, decreti governativi e ordinanze regionali hanno fermato, riavviato e infine bloccato le attività nel periodo più caldo dell’anno, con serate da migliaia di ingressi già organizzate. Ma più che sul governo, la responsabilità del caos ricade soprattutto sulle regioni.

IL DPCM DEL 7 AGOSTO, infatti, aveva fermato le discoteche, lasciando alle regioni la possibilità di derogare allo stop «in relazione all’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori». Così i locali erano rimasti aperti nelle regioni-clou della movida: Sardegna, Emilia-Romagna, Veneto. Quale valutazione dell’andamento epidemiologico aveva giustificato l’eccezione, ci si chiede ora?

Almeno per Veneto e Emilia-Romagna, la deroga non aveva alcuna ragione: i report dell’Iss segnalavano sin da metà luglio un indice Rt costantemente al di sopra di 1, la soglia che indica un andamento esponenziale del contagio. L’indice ignorato dalle giunte regionali era uno dei 21 indicatori utili per valutare il ripristino di misure restrittive. Eppure non è bastato nemmeno per frenare le riaperture dei locali.

ANCOR PIÙ PARADOSSALE la situazione sarda. Sull’isola effettivamente i casi sono pochi (ieri 7) e l’indice Rt è fermo a 0,33. La giunta Solinas ha aspettato l’11 agosto per firmare l’ordinanza 38, con la deroga al Dpcm che chiudeva le discoteche. Il 9 agosto, quindi, lo stop nazionale valeva anche a Porto Rotondo, ma nessuno ne ha tenuto conto.