Gli affari delle ecomafie vanno male. Il loro business nel 2015 si è attestato a 19,1 miliardi di euro, 3 miliardi in meno rispetto all’anno prima. Lo segnala in evidenza il rapporto annuale di Legambiente presentato ieri a Palazzo Madama con un parterre d’eccezione, dal ministro dell’Ambiente Galletti, alla presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi, al procuratore capo Antimafia Roberti.

Il calo è dovuto principalmente dalla netta contrazione degli investimenti a rischio nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) dove si sono prosciugate le spese per opere pubbliche e gestione dei rifiuti urbani: da 13 miliardi la spesa si è ridotta a 7 miliardi. Mentre restano sostanzialmente invariati gli affari negli altri settori di attività, anzi con aumenti per quanto riguarda l’abusivismo edilizio privato (soprattutto in Campania e in particolare in provincia di Napoli), le truffe agroalimentari (olio, vino, parmigiano, pane), lo smaltimento illecito dei «preziosi» rifiuti speciali, l’archeomafia (in quest’ultimo campo c’è stato nel 2015 un boom di reperti recuperati, per un valore di 3,3 miliardi).

Legambiente però sottolinea come, ottenuta dopo 21 anni di battaglia, la nuova legge che inserisce gli ecoreati nel codice penale – approvata il 19 maggio dell’anno scorso – stia iniziando a funzionare, anche se le procure dovrebbero sviluppare una prassi operativa «comune e condivisa» – propone l’associazione ambientalista – sulla base di linee guida nazionali. Negli otto mesi di applicazione sono stati oltre 24mila le denunce, oltre 7 mila i sequestri, gli illeciti ambientali sono calati ma sono comunque 76 al giorno, 3 ogni ora, E si concentrano sempre più i Campania, Calabria, Puglia e Lazio. «Le mafie laddove trovano varchi e possono fare affari, entrano. Passano laddove noi decidiamo di farle passare», ha commentato i dati del dossier Rosy Bindi.

La corruzione è l’altra faccia delle ecomafie e resta un fenomeno dilagante che vede il più alto numero di indagini in Lombardia. Mentre per gli illeciti ambientali il record nel Sud va alla Campania, al Lazio nel Centro e alla Liguria nel Nord. Secondo il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti è però «riduttivo» parlare solo di ecomafie, quando si tratta soprattutto di «criminalità d’impresa». «è l’imprenditore – specifica – il protagonista e principale responsabile di reati in materia di rifiuti, agroalimentare, inquinamento dell’ambiente. Il mafioso interviene interagendo con l’imprenditore per lo smaltimento illecito o altre attività. Sempre più spesso sono gli imprenditori che si rivolgono alla criminalità e spesso questi reati sono accompagnati da corruzione e falso documentale». Sono 326 i clan censiti dal cemento ai rifiuti, al traffico di legno tagliato o importato illegalmente.

L’abusivismo edilizio è il fenomeno in crescita più pesante (insieme agli incendi dolosi con un’impennata impressionante, che sfiora il 49%), concentrato nelle regioni del Centro-sud: se nel 2007 pesava dell’8% sul totale del costruito nel 2015 la percentuale è raddoppiata con 18 mila immobili completamente fuori legge. In testa Napoli, Avellino, Salerno e Cosenza. Il ministro Gian Luca Galletti ha ricordato – senza dare scadenze e prendere impegni – che «dobbiamo fare la legge sui parchi e quella sul consumo di suolo».

Legambiente chiede ora soprattutto uno sveltimento e semplificazione delle procedure per l’abbattimento degli ecomostri e degli abusi edilizi, l’approvazione veloce del ddl per aggravare le frodi enogastronomiche dei prodotti Igp e Dop e un intervento più deciso di repressione del caporalato in agricoltura. L’anno scorso le ispezioni nei campi sono aumentate del 59% ma nelle aziende controllate il 56% dei lavoratori sono risultati irregolari.