E così accadde che Jole «la sceriffa» decise a mezzanotte di ordinare il liberi tutti. La presidente della Calabria, colei che dall’inizio della pandemia aveva recintato per prima i confini regionali, sbarrata la strada del rientro a studenti e lavoratori dal nord, rifiutato 50 migranti provenienti della Sicilia (additati come potenziale bomba epidemiologica), nello stupore generale ha emesso un’ordinanza notturna che spalanca le porte a una serie di riaperture più ampie di quelle disposte finora dal governo, compresi bar, ristoranti e pizzerie con servizio all’aperto. Concesse anche la ripresa dei mercati all’esterno, la libera circolazione degli ambulanti e la possibilità per i diportisti di curare la manutenzione delle proprie imbarcazioni.

Sarebbero due i presupposti alla base della decisione. «L’analisi della situazione epidemiologica regionale dimostra che le limitazioni adottate con le ordinanze richiamate nel presente provvedimento si sono dimostrate efficaci». Il secondo è riferito a un dato quantitativo: «L’analisi dei dati ha fatto rilevare alla data del 27 aprile un rapporto di replicazione (Rt) con daily time lag a 5 giorni, pari a 0,63. In generale, valori inferiori a 1 indicano che la diffusione dell’infezione procede verso la regressione».

Santelli, da parte sua, entra nell’occhio del ciclone. Da Roma contro di lei partono le diffide governative. In una lettera l’esecutivo invita formalmente la Regione Calabria a rimuovere le parti incoerenti con le misure previste dall’ultimo Dpcm. Qualora ciò non avvenisse, il governo centrale potrebbe ricorrere al Tar o alla Consulta per impugnare i provvedimenti adottati. E il premier Conte, durante l’informativa alla Camera, lo dice a chiare lettere: «No a piani rimessi a iniziative improvvide di singoli enti locali». Per Santelli l’ordinanza partorita di notte le si ritorce contro di giorno come un boomerang. Quasi tutti i sindaci contestano il provvedimento. Da Reggio a Lamezia è un coro di no dei primi cittadini, anche di centrodestra, compreso quello di Catanzaro. Loro si atterranno « a quanto previsto dai Dpcm del 10 e 26 aprile». Unica voce concorde con la presidente, quella del sindaco di Cosenza Mario Occhiuto: «Bene anticipare la riapertura, le città sono pensate per socializzare». Eppure ieri Cosenza non si presentava diversa da quella degli ultimi due mesi. Tranne un paio di bar provvisti di tavoli e sedie all’aperto, chiusi tutti gli altri. Ma alcuni locali della movida avevano iniziato a predisporre il riavvio delle proprie attività già da qualche giorno.

Tra i proprietari dei locali alcuni hanno accolto con favore la decisione di Santelli, ma affiorano anche perplessità e preoccupazioni. Gran parte della clientela rimane a casa, terrorizzata dalla pandemia. Aprire significherebbe dunque dover sostenere spese non compensabili dallo scarso volume di lavoro. C’è chi solleva il problema dei requisiti per la riapertura, troppi e particolarmente onerosi. Ieri pomeriggio sono scomparse le pattuglie della polizia sul Corso Mazzini. In mattinata, all’ormai rituale domanda rivolta dall’agente in divisa: «Scusi, lei dove va? Ce l’ha l’autocertificazione?», qualcuno aveva risposto secco: «Vado al bar, è aperto. E dopo l’ordinanza della Regione, non c’è obbligo di autocertificazione per chi va a prendere un caffè».