Rubriche

Cala l’import/export cinese, conseguenze in Europa

Nuova Finanza Pubblica

Nuova Finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova Finanza pubblica

Pubblicato circa un anno faEdizione del 2 settembre 2023

I processi economici sono spesso la risultante di una molteplicità di variabili che interagiscono tra loro. Ciò che sta avvenendo oggi non fa eccezione. La crisi evidente della globalizzazione convive con l’affermarsi di movimenti che vanno nella direzione inversa. Il ritorno in forza della geopolitica sta determinando effetti destrutturanti il quadro precedente, aumentando le contraddizioni. Proviamo a ragionarne utilizzando l’angolo visuale dell’Europa.

La Cina sta attraversando un momento complesso aggravato dalla crisi dell’immobiliare. Gli ultimi mesi hanno visto un rallentamento della crescita, ma colpisce la riduzione importante del suo export e del suo import. Tale fenomeno può essere considerato un effetto delle tensioni geopolitiche (la riduzione principale avviene nei flussi con gli Usa), ma, almeno in parte, anche il tentativo di auto-centrare il paese sulla propria economia (per quanto la domanda interna non sia in grande espansione). Dopo anni in cui Pechino importava beni strumentali ad elevato valore aggiunto per sviluppare la propria industria oggi è possibile che abbia assorbito sufficiente capacità produttiva e competenze da poter iniziare a fare in proprio. Un fare in proprio, che in molti settori, viene incentivato dalle tensioni geopolitiche.

Chi rischia di pagare questi cambiamenti? L’Europa, suo principale partner commerciale, e in particolare la Germania. Quest’ultima, infatti, non solo è il più ricco paese del Vecchio continente, ma quello con l’industria particolarmente avanzata e dedita alle esportazioni di beni strumentali. Esportazioni rivolte in Europa, dove possiede fitte trame di sub-fornitura, ma anche in Cina, dove le sue produzioni di macchinari risultavano essere un volano per produzioni di massa. Dunque, con un ruolo strategico. L’involuzione dei rapporti globali sta generando nuove alleanze anche produttive. Negli ultimi due anni l’export tedesco in Cina è calato del 28%, sostituito presumibilmente da produzioni autoctone e da altri paesi asiatici.

Vero è che, in questo contesto di scelte difficili e contraddizioni, va registrata la scelta di diverse aziende tedesche di chiudere alcune produzioni in Europa e di rafforzare la partnership con aziende cinesi, ma anche questo è un segnale che complicherà le scelte della Germania, al cui interno convivono spinte non coerenti che scommettono su differenti prospettive, persino incompatibili tra loro. identici problemi, sebbene sottotraccia, esistono anche in Italia. Come spesso accade le alleanze industriali prefigurano o sono l’effetto di quanto accade in campo geostrategico e politico. In questo caso i cambiamenti geopolitici non sono del tutto coerenti con gli assetti delle imprese. Lo scontro in atto favorisce processi di chiusura o nuove geometrie. L’assorbimento di tecnologia teutonica in questi anni rende possibile una progressiva emancipazione di Pechino da Berlino.

D’altronde un po’ ingenuamente c’era da chiedersi quanto un paese decisamente sviluppato potesse far leva sulle proprie esportazioni in un altro paese con una similare propensione alla manifattura e alle esportazioni. Tale fenomeno finisce per avere ricadute su quella parte dell’Europa che ruota attorno alla Germania. Illusorio, e un po’ provinciale, risultava il gioire per un presunto superamento dei tassi di crescita italiani rispetto a quelli tedeschi. Gli affanni di Berlino ora cominciano a preoccupare.
Il rischio è quello che in tempi di sovranismi macroregionali, il Vecchio continente venga stretto tra potenze globali che in questi anni hanno costruito o consolidato alleanze di ordine politico, economico ed energetico.

Oppure che l’Unione europea vada disgregandosi sotto l’incalzare di forze centripete che individuano ora gli Stati Uniti, ora la Nuova via della seta, come scorciatoie per salvarsi, magari a danno dei vicini. Un illusorio sovranismo dentro un sovranismo in scala maggiore. E l’Italia non è certo immune da questi rischi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento