L’Istat ha rivisto al ribasso le stime del governo sulla crescita del 2018 (dall’1% allo 0,9%), avverte una frenata dei consumi (dall’1,5% al +0,6%) e degli investimenti (dal 4,1 al +3,4%), mentre il debito pubblico continua a salire (132,1%). Smentita la previsione del governo sul deficit per l’anno: è al 2,1%, mentre per Lega-Cinque Stelle è all’1,9%. I dati «risentono di un fatto noto, un forte rallentamento» dell’economia nel secondo semestre del 2018, che ha determinato «degli impatti negativi» sulla crescita, ha riconosciuto ieri il ministro dell’Economia Giovanni Tria al forum economico franco-italiano a Versailles.

SONO GLI EFFETTI macroeconomici della «recessione tecnica» riscontrata dall’Istat nell’ultimo trimestre del 2018 che porterà, a partire dal Def previsto in aprile, a rivedere le ottimistiche previsioni sull’«anno bellissimo». In autunno l’esecutivo dovrà affrontare una drammatica manovra, già gravata dalla proibitiva ricerca di 23 miliardi per sterilizzare le «clausole Iva».

Considerato l’indebolimento strutturale dell’economia, causato da un calo della domanda interna e da un rallentamento delle esportazioni, le risorse accantonate con la caparra di due miliardi contenuta nella legge di bilancio approvata a dicembre 2018 potrebbero non essere sufficienti. Con una crescita inferiore allo 0,6% previsto, un deficit più alto del 2,04% e un debito in espansione i conti dovranno essere rivisti.

In questa situazione, insieme alle donne, i giovani sono i più penalizzati sul mercato del lavoro. È quanto emerge da un altro rapporto sull’occupazione a gennaio 2019, reso noto ieri dall’Istat. Rispetto a dicembre, a gennaio c’è stata una timida crescita degli occupati, ma solo tra gli uomini: (+27 mila), calano invece le donne occupate (-6 mila).

IL TASSO DI OCCUPAZIONE resta stabile al 58,7%. Questo significa che non si produce nuova occupazione, ma si trasforma l’occupazione esistente. Un fenomeno che potrebbe essere dovuto alla crescita delle trasformazione dei contratti a termine in indeterminati registrati dall’Inps. Un effetto spiegato, anche ieri, dai Cinque Stelle al loro «decreto dignità», ma che non esclude il fatto che l’occupazione prevalente sia a termine. A gennaio c’è stato un aumento di 56 mila lavoratori dipendenti a tempo indeterminato rispetto al mese precedente.

Questo andamento ha prodotto l’entusiasmo tra i grillini che sobbalzano ad ogni singulto del mercato del lavoro. Il dato va visto tuttavia sui dodici mesi. Rispetto a gennaio 2018 l’aumento è stato solo di 29 mila unità. E i dipendenti a termine sono cresciuti di 126 mila unità, quelli «indipendenti» sono stabili (6 mila). Non è cambiato nulla rispetto ai tempi del Pd, perché la struttura del mercato e l’organizzazione della produzione restano le stesse. Non basta una modifica normativa, per di più modesta, come quella sulle clausole dei contratti a termine contenuta nel «decreto dignità» per modificare l’assetto stabilito dal Jobs Act che ha modificato lo stesso concetto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, cancellando tra l’altro l’articolo 18. Un elemento che, al momento, il governo Lega-Cinque Stelle non intende cambiare.

L’ESPANSIONE MINIMA dell’occupazione ha interessato entrambe le componenti di genere concentrandosi esclusivamente tra gli ultracinquantenni (+250 mila). Anche a gennaio 2019 la crescita ha riguardato quasi esclusivamente gli uomini e le persone oltre i 35 anni, confermando che il lavoro in Italia è precario e per pochi uomini maturi. Se si allarga lo sguardo agli ultimi 15 anni si scopre che l’invecchiamento della popolazione lavorativa maschile matura è una costante strutturale: gli over 50 al lavoro sono quasi raddoppiati passando dai 4,8 milioni di gennaio 2004 a 8,5 milioni del gennaio 2019. È diminuita la quota della popolazione più giovane con la fascia tra i 25 e i 34 anni passata nello stesso periodo da 6,02 milioni di persone a 4,06 milioni.

LA LUNGA STAGNAZIONE italiana ha collocato stabilmente il paese tra gli ultimi in Europa per quanto riguarda la disoccupazione: terzultimo (10,5%), seguito solo Spagna (14,1%) e Grecia (18,5%). Nella disoccupazione giovanile l’Italia è penultima. Solo la Grecia con il 39,1% fa peggio.