La sera di quel dicembre del 1968 era come tante altre, gli amici, le chiacchiere, la musica, l’allegria del primo appartamento a Sao Paulo preso insieme alla compagna, Dedé, la sorella di lei usciva con Gilberto Gil, erano lì tutti insieme. Caetano Veloso aveva 25 anni nel Brasile della dittatura e dell’Atto numero 5, approvato pochi giorni prima , con cui i militari al potere si arrogavano il diritto di arrestare, torturare, uccidere chiunque fosse considerato un «pericolo», chi aveva un pensiero critico, lo esprimeva, lo condivideva; dissidenti, comunisti, intellettuali. E chi più dei giovani musicisti del Tropicalismo come Veloso e Gil, che destrutturavano lingua, linguaggi, forme, suoni, codici dell’immaginario e del vissuto scrivendo la storia «dal basso» negli intrecci delle loro esistenze lo era? É quasi mattina quando i militari bussano alla porta e li arrestano entrambi, Veloso e Gil, da Sao Paulo li portano a Rio. L’incubo comincia.
Una cella solitaria, il cibo disgustoso, la paura, le minacce, il disprezzo ostentato del potere. Non una sola parola sulle accuse ma prima di rinchiuderlo il generale costringe Veloso a «presenziare» alla sua cena. Di cosa lo avevano incolpato lo scoprirà molto tempo dopo, dicevano che aveva storpiato l’inno nazionale in chiave tropicalista e che la sua musica era sovversiva e «de-virilizzante». Su questo ultimo punto ancora oggi raccontandolo davanti alla macchina da presa, ride: «Sovversiva va bene, lo rivendico ma ’devirilizzante’ cosa vuol dire?» Forse che non era un proclama di machismo e di ottusità, ma che sapeva colpire al cuore con raffinatezza, seduzione e incanto? La dittatura costrinse all’esilio moltissimi artisti – Caetano compreso si rifugiò a Londra.
Narciso em Ferias di Renato Terra e Ricardo Calil torna dunque a quegli anni, ci dice del regime militare in Brasile e delle sue violenze, dei movimenti del tropicalismo e dei suoi protagonisti senza archivi né immagini né testimonianze ma unicamente attraverso la parola di Veloso. Solo narra con precisione quei momenti; i dettagli, il quotidiano del carcere, i libri arrivati di nascosto da qualche altra cella dopo alcuni giorni – Camus e Rosemary’s Baby. Un detenuto comunista nordestino gli chiede una canzone, Suplica di Orlando Silva, la stessa che aveva ascoltato prima di essere portato via. Alle spalle c’è un muro grigio – «Abbiamo girato in una sala di cinema che non è mai stata finita» dice.

LUI GESTICOLA, qualche volta prende in mano la chitarra e canta – Hey Jude dei Beatles che gli faceva pensare alla libertà mentre era dentro – si commuove, si emoziona, si ferma quando ricorda un giovane militare che li aveva aiutati lui e Dedé permettendogli di incontrarsi e di fare l’amore.«Lo arrestarono» dice prima di sospendere la registrazione.
La sua memoria diviene così quella di un Paese, si fa voce del presente, del Brasile devastato dalla pandemia, dalla politica di Bolsonaro e dalla sua violenza. «Il film non voleva essere sull’attualità che però c’è, si sente, anche perché abbiamo iniziato a lavorare quando Bolsonaro ha vinto le elezioni, e il nostro stato d’animo di quel momento è entrato a farne parte. Oggi la situazione è divenuta molto grave» dicono Terra e Calil. E aggiungono: «La scelta di affidarci soltanto alle parole di Caeano Veloso ci ha permesso una grande libertà, perché dentro c’è tutto, il regime, il tropicalismo che nella sua indipendenza di pensiero era odiato dal regime ma non piaceva neppure a sinistra. E di parlare della dittatura, della sua violenza e stupidità. Salles dice sempre che se si vuole fare un fim sulle poste ci si deve affidare a una lettera, di rimanere cioè su un dettaglio per cogliere l’insieme. Abbiamo cercato di seguire la sua lezione».

PURTROPPO al Lido non sono potuti esserci né loro né Veloso, i contagi in Brasile sono ancora altissimi – e Bolsonaro come il suo amico Trump non sembra agire di conseguenza – così li abbiamo incontrati in streaming, la pandemia ci sta abituando a una realtà mista, film in sala e con gli spettatori e interviste con gli artisti a distanza. Veloso, ha settantotto anni e il sorriso del ragazzo che era sulla vecchia foto di cinquant’anni fa, ai tempi dell’arresto, senza la massa di ricci, sui capelli sempre lunghi ora bianchi. Sorride con gentilezza allegra come la sua camicia azzurra coi fiori bianchi. L’Italia la ama, l’ha sempre amata, ci ha suonato tantissime volte, ha molti amici qui. E ama il cinema italiano, scoperto con La strada di Fellini quando era adolescente. E il neorealismo, Rossellini, Antonioni con cui ha lavorato, lo aveva incontrato grazie a un amico, il regista Julio Bressane, protagonista dell’underground – o udigrudi – poco gradito al tropicalismo e a Glauber Rocha – «dandy e borghesi» dicevano del loro modo di usare il sincretismo selvaggio e raffinatissimo. «L’idea di libertà dentro a un creazione non si può spiegare, per la musica è il mistero della parola cantata» dice Caetano.

Cosa l’ha spinta a confrontarsi con questa sua esperienza oggi? Le sembra in qualche modo legata alla situazione che sta attraversando il Brasile?

I momenti politici sono molto diversi, nel ’68 c’era la dittatura ma credo che sia importante condividere la mia memoria specie tra i più giovani perché non si ripeta una situazione di violenza e di arbitrio. A loro dobbiamo offrire una visione chiara della realtà mentre i giornali, i media brasiliani quando parlano del nostro Paese non lo fanno mai in modo diretto, sembrano avere paura di affrontare le cose. I documenti che mi riguardavano sono stati ritrovati di recente da un amico di mia figlia che sta facendo in lavoro di ricerca su quel periodo per la Commissione della Verità. Io ho sempre mantenuto un ricordo molto vivido di quei fatti ai quali nel mio libro, Tropicalismo, avevo dedicato un capitolo. Avevo pensato di raccoglierli in un volume a sé ma l’editore non era d’accordo, però mi ha proposto di registrarli in un video. Sono uscito di casa per rispondere alle domande e così è iniziato il film.La location che avevano scelto era bellissima, io parlavo, in alcuni momenti mi sono molto emozionato, è stato intenso rivivere quell’esperienza, le mie emozioni, avere di nuovo tra le mani la rivista che guardavo in cella con la Terra vista dallo spazio che poi ha ispirato a mia canzone.

Anche se riguarda in’altra epoca la sua esperienza però, così come ce la restituisce il film, parla al presente, dice dell’ottusità di un potere, della censura contro la cultura, di un’arroganza che colpisce i più deboli, pensiamo alle uccisioni dei nativi, che la dittatura massacrò, nel Brasile di Bolsonaro.

Un regime autoritario o qualsiasi forma di autoritarismo che come oggi cerca di imporsi utilizzando la democrazia sono sempre un grave pericolo. Vengono messi in discussione la partecipazione alla vita pubblica, i principi democratici, i diritti fondamentali dei cittadini. E purtroppo in Brasile siamo davanti a un modo poco democratico di gestire la cosa pubblica che mira a restringere i diritti di tutti. Lo vediamo quotidianamente, nell’atteggiamento che il nostro governo ha preso rispetto alla pandemia.

Pensa che in qualche modo questa abbia accelerato una limitazione dei diritti, non solo in Brasile, ma in tutto il mondo? Anche il fatto che si vive sempre più una dimensione virtuale e frammentaria.

Tutto è accaduto molto rapidamente e credo che non sia possibile tornare indietro pure se la pandemia finisse. Penso che il virus ha messo in luce delle realtà che erano già lì, che esistevano magari sotto forma di suggestioni, e che sono emerse con evidenza perché tutto il mondo si è trovato nella stessa situazione.Abbiamo vissuto altre epidemie, questa circola molto velocemente così come è rapida la circolazione sul pianeta dei suoi abitanti. La situazione è in continua evoluzione, dobbiamo imparare a convivere col virus, e per questo si devono fare scelte politiche, economiche, che sostengano e proteggano in cittadini dei vari paesi. Ma il disegno del mondo che si profila come ho detto non è nuovo, si era già determinato nello scorso secolo, spetta a noi anche lì salvaguardare l’autonomia delle coscienze contro gli autoritarismi e il controllo delle nostre libertà.