Hussein Arnous la scorsa settimana ha accettato di guidare il governo durante quello che sarà con ogni probabilità il periodo economico più difficile per la Siria di questi ultimi dieci anni. La guerra ha provocato centinaia di migliaia di morti, civili e militari, ma il paese ne sta uscendo. Invece la crisi economica figlia della guerra rischia di far cadere il paese di nuovo nel baratro. Le conseguenze del recente lockdown imposto dal coronavirus saranno di poco conto di fronte al disastro in cui si ritroveranno milioni di civili siriani a causa delle sanzioni economiche previste dal “Caesar Syria Civilian Protection Act”, approvato dal Congresso Usa, su iniziativa anche dell’Amministrazione Trump, alla fine dello scorso anno.

 

Le sanzioni entrano in vigore oggi ma che hanno già contributo al crollo verticale della lira siriana e di quella libanese. Le immagini di Beirut teatro di saccheggi e di scontri tra manifestanti di fazioni opposte e tra manifestanti e polizia, rischiano di ripetersi molto presto. Se il governo di Arnous in Siria controlla la situazione – nonostante le proteste esplose nei giorni scorsi del distretto meridionale di Sweida, a maggioranza drusa – al contrario quello del premier Hassan Diab ha scarse possibilità di manovra, schiacciato com’è tra le proteste popolari contro corruzione, carovita e settarismo in corso da mesi le condizioni insostenibili poste dal Fondo monetario internazionale per soccorrere il paese dei cedri, tra i più indebitati al mondo.

 

Dopo aver cestinato l’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano del 2015 e varato sanzioni durissime contro Tehran, gli Stati uniti ora provano a strangolare l’economia siriana e, di riflesso, anche quella del Libano, paese che considerano controllato di fatto dal movimento sciita Hezbollah, alleato dell’Iran e di Damasco. Il “Caesar Act” è legato a rivelazioni fatte da un anonimo fotografo della polizia siriana che avrebbe diffuso 55.000 foto che mostrano torture e violenze nelle carceri siriane. Damasco respinge le accuse e denuncia un complotto ai suoi danni. Il “Caesar Act” ufficialmente colpisce il presidente Bashar Assad, il suo entourage e gli apparati di potere. In realtà prende di mira la popolazione. Washington pensa che l’aggravarsi delle condizioni di vita in Siria finiranno per innescare una sollevazione contro la presidenza e il governo. Come quelle contro l’Iran colpiscono qualsiasi persona o azienda che effettui transazioni con Damasco. Trump avrà poteri più ampi per congelare i beni di chiunque abbia a che fare con la Siria, indipendentemente dalla nazionalità. La legge prende di mira anche coloro che hanno a che fare con rappresentanti russi e iraniani a Damasco e considera la Banca centrale siriana come una sorta di «struttura di riciclaggio». Le sanzioni scoraggeranno gli investimenti in Siria e approfondiranno il suo isolamento dal sistema finanziario globale. La ricostruzione del paese devastato dalla guerra, già frenata dalle pressioni statunitensi e dell’Ue, resterà congelata. Il “Caesar Act” permette le importazioni di alimenti essenziali e l’ingresso in Siria degli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile. Allo stesso tempo prevede un controllo molto rigido sugli aiuti delle Nazioni unite e delle Ong per garantire che «non stiano avvantaggiando» il governo e il presidente Assad. Sarà colpito anche il Libano, un canale tradizionale per il commercio e per gli investimenti in Siria. La scomparsa del dollaro in Libano e il crollo della valuta nazionale (passata in pochi giorni da 1500 a 7.000 lire libanesi per un dollaro) accrescono l’ansia della popolazione per le conseguenze del “Caesar Act”. I libanesi temono anche di rimanere senza elettricità: il paese importa dalla Siria una quota significativa del suo fabbisogno di energia.

 

«Il premier Arnous con una immissione coordinata di dollari sul mercato da parte della Banca centrale e dei privati è riuscito a tamponare il crollo della lira, scambiata la scorsa settimana a 3.200 per 1 dollaro e ora tornata a 2270. Ma il potere d’acquisto per la maggioranza della popolazione resta molto limitato. Basti pensare che prima della guerra 1 dollaro valeva 50 lire e che gli stipendi sono rimasti più o meno quelli di 9 anni fa» ci spiega un giornalista siriano a Damasco che ha chiesto l’anonimato. «I fondamentali economici sono molto preoccupanti» aggiunge «e le sollecitazioni di Talal Barazi (il ministro del commercio, ndr), a tenere bassi i prezzi delle merci non potranno impedire un probabile ulteriore aumento dell’inflazione. Trump pur di abbattere il presidente Assad è disposto a scatenare il caos in Siria e a portarci alla fame. E rischia di riuscirci».