Se qualcuno fino ad oggi ha pensato che la parola fallimento sia un preludio al canto del cigno, una caduta irreversibile nella polvere, dovrà cambiare registro di pensiero. E accorgersi che l’inefficienza di una prestazione creativa (proprio come il lapsus freudiano) non è altro che l’anticamera dell’utopia: spalanca le porte al rovesciamento di senso e incoraggia una rigenerazione, a partire dalla presa di coscienza della disfatta. Una débâcle che gli artisti più agguerriti perseguono con tutti i mezzi (chi come Pietroiusti con la cancellazione dallo spazio pubblico di «lavori di cui vergognarsi», chi come Cattelan con la fuga dal confronto, chi ancora – come l’irriverente Iggy Pop o il martirizzante Chris Burden- abusando del suo stesso corpo, a rischio della vita).

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UNA FENOMENOLOGIA della disfunzione, dello sprofondamento nel nulla è quella che, infatti, mette in scena l’autrice Teresa Macrì in un libro affascinante e filosoficamente ineccepibile, appena uscito per i tipi di Postmedia books (euro 16, 90). Il titolo è inequivocabile e abbatte il tabù linguistico: così quel Fallimento, che si snoda per 170 pagine con esiti sorprendenti, finisce per somigliare a un romanzo best-seller dove si ripercorre la biografia poetica di artisti, performer, rockstar, alla luce della perdita, ponendo in scacco il pregiudizio dell’efficienza che collima con il sistema capitalistico e i suoi assunti. Lo scollamento è totale: d’altronde, Macrì da anni nei suoi saggi invita lettori e lettrici a spostarsi di sguincio, a smarrirsi insieme ad artisti che si contagiano l’un l’altro nella produzione di disorientamenti pericolosi – che siano azioni dalla forte valenza politica o, semplicemente, gesti quotidiani ossessivamente ripetuti. Basti ricordare nel precedente Politics / Poetics (sempre edito da Postmedia books) la coppia fulminante di Francis Alÿs e Jeremy Deller, ognun per sé impegnato nel «crollo» – illogicità, smottamenti geografici e psichici, incidenti di macchina (Game Over).

L’INSUCCESSO – consapevolmente o meno inseguito – diviene allora quel dispositivo di rottura che permette a un outsider come Bas Jan Ader di perdersi (fino alla tragica scomparsa) in mare per non fare più ritorno, e allo stesso tempo di «restare» nella memoria – Tacita Dean ha trasposto la sua sfida in un film – per la sua poetica, tra distruzione e riattraversamento di sé. «Cade», infine, anche il Pinelli rievocato da Francesco Arena con quella scala di 20 pioli imperniata su 19,45 metri di barre di metallo, che corrispondono alla misura dell’ultimo percorso del ferroviere anarchico, il volo dalla finestra della questura milanese.
A favorire l’imperfezione al posto delle grandi narrazioni pacificanti c’è anche il «trauma identitario», trasformato in una vera e propria arma caustica, come spiega l’autrice, da Sislej Xhafa, artista kosovaro e transnazionale. Nel 1998 con la performance Ballottaggio denunciò lo squilibrio italiano delle politiche sociali: interdetto nel diritto di voto in quanto extracomunitario, entrò e uscì da un cassonetto lì vicino, nel ruolo di «immondizia umana».