Gli anni Settanta hanno imboccato la fase decadente quando Giovanni e Pietro, compagni di scuola al liceo scientifico Farnese, decidono di dedicarsi al windsurf. È un modo per sfuggire ad una scuola borghese e anonima, una personale ricerca di una via di fuga. In piena adolescenza li coglie questa passione totale. Attenzione però: non li attrae lo sport che l’immaginario collettivo associa alla vita di spiaggia, ai pettorali scolpiti o agli ozi movimentati dei vincenti. Non è così perché bisogna cominciare ad abituarsi al fatto che L’invenzione del vento, romanzo di Lorenzo Pavolini (Marsilio, pp. 192, euro 16) evita con perizia gli stereotipi.

QUI LA TAVOLA CON LA VELA ha a che fare con lo stare a galla, con la gestione del trauma da sconfitta: si tratta di imparare a cadere e rialzarsi, di interpretare il movimento del mare per non soccombergli. Andare sul windsurf è solo una tecnica di sopravvivenza, un modo per coltivare un’ossessione negli anni del riflusso e poi in quelli della risacca, il tentativo di restare in piedi durante la grande mareggiata che coincide con la fine della Prima repubblica.

«Se resti sotto l’onda è come essere investiti dalla Storia», si dicono i due. Gli accadimenti personali devono esser letti nella filigrana della temperie, tra le righe del succedersi degli eventi e nel clima che li genera e li accompagna. Per questo Pavolini puntella lo scorrere della narrazione con alcune note a pie’ di pagina. Sulla via del lago c’è quel posto di blocco? Sono i giorni in cui lo stato va a cercare Moro al paese di Gradoli invece che a via Gradoli.

Ancora, Giovanni va a lavorare in una casa editrice socialista negli anni a cavallo della grande sbornia che precede lo showdown del Psi e Craxi che si chiude nel bunker del Congresso di Bari con nani e ballerine. Mentre Milano viene proclamata dal New York Times «capitale europea dell’eroina» coi suoi centomila consumatori, poi, Pietro resta attaccato alla tavola in mezzo alla tempesta e affida la sua accumulazione primitiva ad un montepremi di TeleMike. Siccome in quest’epoca devi apparire, perché «puoi avere le idee che ti pare, ma se non finisci in televisione non servono a niente, sono come i cavallucci marini nelle giostre», Pietro sbarca a Miami a girare video sportivi. Chiude i battenti anche il Pci, annota l’autore, mentre Giovanni finisce in una Rai che doveva celebrare la fantomatica egemonia culturale della sinistra e che assomiglia a quella «dei professori»: e allora ecco il presidente, intellettuale di sinistra, ammettere la disfatta raccontando di un mito rovesciato, in cui Medusa ha sconfitto Perseo.

Se questo fosse un romanzo pacificato, l’aspirazione di Giovanni e Pietro a farsi da soli le loro tavole e il loro sport, isolandosi dal contesto, porterebbe al successo. Ma non ci sono consolazioni micro-imprenditoriali, non c’è l’epica dei self made man. Il teatro vero e insolito, ancora una volta fuori dai luoghi comuni e le «grandi bellezze», è Roma. I due si muovono in una capitale d’acqua.

Fanno pratica al lago di Bracciano, ad un tiro di schioppo dalla Roma Nord dei quartieri residenziali e della borghesia nera: uno dei luoghi di ritrovo è il benzinaio di corso Francia, divenuto location nella sceneggiatura di Mafia Capitale. Si aggirano sul litorale, in posti che si chiamano Coccia di Morto, spiaggia che Ennio Flaiano aveva infilato in un almanacco di toponimi romani lugubri come il Fosso di Malafede, un Casale Contumacia e uno della Pidocchiosa, Chiavichetta e Femmina Morta. Risalgono il Tevere delle rimesse e dei canneti, alla periferia estrema di una città che ne contiene tante.

È UNA CITTÀ che pare irraccontabile, come i vent’anni che ci hanno condotto agli Anni Zero. È questo il periodo storico che il romanzo ricostruisce per tasselli e punti di vista, con personaggi che si succedono e che a volte paiono essere la sintesi di tante esistenze e di diverse forme di vita (il giornalista che diventa alto dirigente televisivo e drammaturgo, la prof sogno erotico che passa dall’estrema sinistra al berlusconismo). Una via d’uscita dal Novecento ancora in gran parte da ricomporre, qui narrata dalla prospettiva particolare di una macchina narrativa che riesce a interagire col mondo per cercare il confronto con il contesto più generale.