Quella tra venerdì e sabato è stata una lunga notte in Val di Susa. O meglio in Clarea, la piccola conca che accompagna l’omonimo torrente vicino al contestato cantiere dell’alta velocità. Buio, fuochi, lacrimogeni, pietre, posti di blocco, manganellate. E decine e decine di feriti. È tornata alta la tensione in questo spicchio di Italia, che da oltre vent’anni si batte contro il Tav. Almeno trecento manifestanti hanno percorso, partendo da Giaglione e con la sola luce delle pile, i boschi che portano alla Maddalena (dove si scava il tunnel esplorativo), tentando di entrare nella «zona rossa»». Le forze dell’ordine questa volta li hanno aspettati al di fuori dalle reti in assetto antisommossa. «È stata una trappola. Ci hanno circondati: da una parte la scarpata, dall’altra il costone», raccontano il giorno dopo. A un lancio di pietre da parte degli attivisti, la polizia ha risposto con tanti lacrimogeni, che sono rimbalzati sugli alberi come proiettili, creando panico tra i manifestanti in fuga. Una parte, con maschere antigas e guanti, ha resistito. Gli scontri sono durati un’ora e mezzo, chiusa l’autostrada A32.
«A un certo punto è scattata una caccia all’uomo da parte di polizia e carabinieri fin dentro i boschi» dicono i No Tav. Sono sette (delle nove che erano state bloccate) le persone arrestate: Luke Molina, 23 anni di Trento, Marcello Botte, 24 anni di Potenza, Ennio Donato, 29 anni di Ivrea; i romani Matthias Moretti, 27 anni, e Piero Rossi, 56; il milanese Gabriele Tomasi, 18 anni, e il genovese Alberto De Stefanis di 38.
Nel pomeriggio di ieri ha suscitato sgomento la testimonianza di un’attivista pisana di 33 anni, Marta Camposano (denunciata per resistenza) che accusa i poliziotti di gravi violenze nei suoi confronti: «Da quando mi hanno fermata a quando mi hanno portata all’interno del cantiere sono stati dieci minuti di follia. Ho ricevuto una manganellata in faccia, mi hanno toccata nelle parti intime e mi hanno insultata», ha raccontato con un braccio fasciato e un labbro suturato.
«Gli arrestati della scorsa notte sono degli eroi – ha sostenuto Nicoletta Dosio, volto storico del movimento –, ero presente, le forze dell’ordine hanno sparato lacrimogeni ad altezza d’uomo anche sulla gente che defluiva. È stata usata violenza inaudita. I giovani ci hanno salvato dalle botte». Sessantatré i feriti tra i manifestanti («Non sono andati in ospedale per paura di essere denunciati»), quindici tra gli agenti.
Alla mattina la politica delle larghe intese si risveglia compatta nel condannare le violenze dei No Tav. Pure il ministro Angelino Alfano, reduce dal pasticciaccio kazako e da un’imbarazzante silenzio, riprende fiato, veste i panni dello statista e usa il pugno duro. «Lo Stato non si ferma e non consente alcuna forma di intimidazione. Lo Stato non si ferma neanche di fronte ad attacchi di pura guerriglia come quelli avvenuti questa notte al cantiere Tav di Chiomonte. Il cantiere va avanti». Poi, il collega Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti: «La risposta delle istituzioni all’inaccettabile attacco sarà decisa come quella delle forze dell’ordine, alle quali va tutta la mia solidarietà e il mio plauso».
Ferma anche la reazione del sindaco di Torino, Piero Fassino: «Un’aggressione preordinata che nessuna ragione politica può giustificare. Nessuna forma di violenza può essere accettata e tollerata in una società democratica». E Stefano Esposito, parlamentare Pd, uno dei principali sostenitore dell’opera che recentemente ha chiesto alla «dissidente» Laura Puppato di lasciare il partito, ha commentato: «Questa notte la Val di Susa è stata svenduta ai peggiori antagonisti italiani, francesi, greci. Fino a quando potremo tollerare una situazione simile? Si utilizzi il pugno duro nei confronti dei fermati che, in diversi casi, erano già stati puniti con fogli di via non rispettati». Si discosta Rifondazione comunista che con il segretario torinese Ezio Locatelli si rivolge proprio al senatore democratico: «I “delinquenti” e i “mafiosi” li devi andare a cercare tra i fautori di una mega opera speculativa non tra i No Tav».
Giuseppe Petronzi, capo della Digos di Torino, ha parlato di violenza allo stato puro. Ma i No Tav non ci stanno a passare per aggressori. «Gli aggrediti – sostengono – siamo stati noi, ma non ci faremo intimorire e lotteremo fino alla fine». Critici anche sulla presenza al cantiere dei pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, da cui è partita l’indagine per il maxi processo sugli scontri di due estati fa: «Erano lì soltanto per convalidare arresti già decisi» ha detto Dosio. È stata Una violenza preannunciata quella della Questura» scrive il sito di riferimento notav.info chiedendo la libertà per gli arrestati.
Guido Fissore consigliere comunale a Villar Focchiardo ha contestato l’aumento della zona rossa inaccessibile attorno al cantiere (che potrebbe essere ancor più ampliata): «Domani pomeriggio (oggi, ndr) insieme a un gruppo di amministratori – racconta al manifesto – partiremo da Giaglione per rivendicare il diritto a camminare nella nostra terra. È grave quello che sta succedendo in Val di Susa, chiudono sempre più strade e sentieri, la presenza delle forze dell’ordine è asfissiante. Stanno comprimendo diritti costituzionali. La nostra sarà un’iniziativa simbolica, non abbiamo intenzione di sfondare il blocco, ma vogliamo una risposta».
Fino a sabato prossimo sarà la settimana più calda dell’estate valsusina, che si concluderà il 27 luglio con una marcia popolare da Giaglione a Chiomonte.