La psicosi è iniziata. Gli ingredienti sembrano gli stessi dell’estate di tre anni fa, quando l’affaire dell’orsa Daniza – resasi colpevole dell’aggressione ad un cercatore di funghi di Pinzolo, in Trentino – polarizzò l’attenzione e l’emotività dell’opinione pubblica. In quel caso, le conseguenze della colluttazione tra mamma orsa e il fungaiolo andarono ben oltre la morte del plantigrado e le ferite riportate dall’uomo. Lo scontro passò infatti rapidamente dai boschi del Trentino alle aule della politica, ai tribunali e alle piazze, con il risultato di mettere in discussione l’intero progetto di reintroduzione dell’orso sulle Alpi centrali, Life Ursus, promosso alla fine degli anni Novanta dal Parco Naturale Adamello Brenta, dalla Provincia di Trento e dall’odierno Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale.

L’orso, affascinante sintesi di contrasti, tra forza e delicatezza, aggressività e dolcezza, si ritrovò stritolato tra una opinione pubblica polarizzata: da una parte i trentini spaventati dalla possibilità di avere nel «loro» bosco una presenza potenzialmente pericolosa, dall’altra il resto del Paese, innamorato di una idea di wilderness lontana dalla realtà di chi vive, sopravvive, nelle «terre alte».

SABATO SCORSO LA STORIA si è in qualche modo ripetuta: un uomo riferisce di essere stato aggredito da un orso mentre passeggiava con il suo cane al guinzaglio, al limite tra bosco e paese, in una zona che è solito frequentare nel comune di Vallelaghi, a pochi chilometri da Trento. Secondo quanto ha riferito, prima ai soccorritori e poi alle guardie del Corpo Forestale Trentino prontamente intervenute per pattugliare la zona, il sessantanovenne sarebbe stato ferito ad un braccio con graffi e morsi, e addirittura trascinato per alcuni metri, da un orso apparso all’improvviso nel bosco, senza un apparente motivo scatenante.

Ciò ha provocato l’immediata applicazione degli strumenti previsti per la gestione di «eventi straordinari», in accordo con quanto stabilito dal Piano di gestione dell’orso bruno sulle Alpi centro orientali («Pacobace»): il presidente della provincia di Trento, Ugo Rossi, ha prontamente emesso un’ordinanza che prevede il controllo dell’area ove si è verificato l’incidente, al fine di tutelare l’incolumità e la sicurezza pubblica, e la contemporanea rimozione dell’orso protagonista dell’aggressione.

SULL’ARCO ALPINO, INFATTI, la gestione dei plantigradi viene attuata attraverso specifiche strategie che prevedono varie azioni di dissuasione nei confronti degli orsi «dannosi» (quelli che arrecano ripetutamente danni materiali alle cose oppure che utilizzano in modo ripetuto fonti di cibo legate alla presenza umana) e «pericolosi» (orsi che costituiscono un pericolo per l’uomo). Il «Pacobace» prevede una scala di problematicità dei comportamenti dell’orso e una serie di azioni di risposta: «leggere» ed «energiche». Le prime contemplano l’attivazione di presidi da parte di personale specializzato (squadre di emergenza) e la dissuasione (ad esempio mediante l’uso di pallottole di gomma e cani da orso); le seconde prevedono la cattura dell’animale con rilascio allo scopo di radiomarcaggio, la cattura per trasferimento permanente in cattività e l’abbattimento. Queste ultime azioni sono previste quando un orso segue intenzionalmente delle persone o quando attacca senza essere provocato, come sembra essere accaduto a Vallelaghi.

VISTO IL CLAMORE SUSCITATO dall’uccisione dell’orsa Daniza tre anni fa, è più che probabile che l’orso in questione – le analisi genetiche stabiliranno se si tratta della stessa femmina che, nel 2015, causò ferite gravi ad podista e che da allora è “ricercata” dai forestali trentini – venga catturato vivo e trasferito a vita in un recinto, come successe ad altre due orse, nel 2007 e 2011.

Nel frattempo, i residenti e i turisti che affollano in queste settimane il Trentino si trovano a dover far i conti con il quarto caso di ferimento di un essere umano da parte di un orso: quattro aggressioni in quasi vent’anni (anzi, in molti di più, dato che l’orso dal Trentino non è mai scomparso), a fronte di innumerevoli incontri ravvicinati, sono un numero statisticamente trascurabile, che conferma come gli attacchi dei plantigradi alpini siano normalmente legati alla paura nei nostri confronti, e al conseguente tentativo di prevenire o neutralizzare una minaccia per sé o per i cuccioli.

MA LE AGGRESSIONI – oltre che episodi violenti, impattanti e rischiosi per i malcapitati che le subiscono – hanno un alto contenuto emotivo per l’intera opinione pubblica. Ci ricordano che l’orso è un animale selvatico, possente e capace di gesti estremamente energici, raramente anche di uccidere. Ci riportano alla mente il nostro passato in cui il plantigrado, anche a causa delle sue imponenti dimensioni, rappresentava una minaccia simbolica alla nostra supremazia, una sfida. Ci rammentano che nei boschi, in natura, non siamo nel nostro giardino ma in territori dove il rischio zero non esiste. Ci mettono davanti al fatto che abbiamo dei limiti. Siamo pronti ad accettarlo?

*Naturalista e zoologo, studioso di grandi carnivori