All’ennesimo tentativo della Compagnia Europea del Titanio di mettere le mani sul grande giacimento di titanio sepolto sotto al Monte Tarinè, la Regione Liguria ha fatto una prima parziale concessione, permettendo per 3 anni le ricerche. L’area del Beigua è un’area di inestimabile valore ecologico, geologico ed archeologico, tanto da essere riconosciuta come Parco Regionale. Per l’eccezionale patrimonio geologico presente, nel novembre 2015, è stato riconosciuto anche come Unesco Global Geoparks. Ma da quando le prime indagini minerarie, nel 1974, scoprirono uno dei giacimenti di titanio più grandi al mondo, quest’area è stata continuamente oggetto delle mire dell’industria estrattiva. Si stima infatti che lì sotto ci siano 400 milioni di tonnellate di rutilo (minerale di biossido di titanio). La fame di titanio, metallo utilizzato dall’industria aeronautica e aerospaziale ma anche negli oggetti più comuni, è alta.

NEL 1976 L’ALLORA MINISTERO dell’Industria rilasciò alla Mineraria Italiana Srl una concessione ventennale, poi trasferita alla Compagnia Europea per il Titanio (C.E.T.). Il progetto però non partì, grazie anche all’opposizione locale. Nel 1996, alla scadenza del titolo, la Compagnia Europea del Titanio chiese il rinnovo della concessione per altri venti anni. Il comitato di cittadini, i sindaci di Urbe e Sassello, l’Ente parco e la stessa Regione rigettarono e bloccarono l’iter. Nel 1995 l’istituzione del Parco Regionale, e poi nel 2015 il Geoparco Unesco, resero il tentativo di sventrare la montagna ancora più difficile. Ma la Compagnia Europea per il Titanio non è mai arresa: continuò ad avanzare richieste di ricerche, e al rifiuto della Regione, andò avanti con un ricorso al Tar (perso) e poi al Consiglio di Stato (ancora pendente).

NON SODDISFATTA, NELL’ESTATE 2020 la Compagnia Europea per il Titanio ripresentò una nuova richiesta di concessione di ricerca (simile alla precedente) per 450 ettari, comprese alcune zone dentro al Parco. «L’ipotesi di una miniera e di un tunnel nel sottosuolo per raggiungere il porto di Genova, pur se realizzati con tecnologie all’avanguardia, non sono soluzioni in linea con le scelte del territorio», ribadisce l’Ente Parco in un comunicato stampa nell’ottobre 2020.

NONOSTANTE I PARERI DEI COMUNI e dell’Ente Parco, la Regione Liguria, con decreto dirigenziale del 26 febbraio 2021, ha concesso per 3 anni la possibilità di fare ricerche nelle aree esterne al parco (circa 229 ettari dei 450 richiesti). Una tipologia di ricerca «non invasiva», per la quale non è richiesta la Valutazione di Impatto Ambientale.

DAVANTI AL CEDIMENTO DELLA REGIONE, il fronte delle Associazioni e dei Comitati (tra cui Legambiente, Agesci, Wwf, Lipu, Fridays…), hanno lanciato una petizione (su Change.org) che in poche settimane ha raccolto 25 mila firme. I comuni di Sassello e Urbe intanto annunciano di voler fare ricorso al Tar contro il decreto della Regione.

ALL’INIZIO DI MARZO L’ASSESSORE regionale all’Urbanistica Marco Scajola ha cercato di rassicurare, sottolineando che non è intenzione della Giunta autorizzare attività estrattive nelle aree vincolate. «Se ci vuole davvero rassicurare, la Regione deve ritirare il permesso di ricerca alla Compagnia estrattiva. Non capiamo perché autorizzare le ricerche di titanio se non si è intenzionati a permettere una cava. Se la finalità della ricerca fosse puramente scientifica, bisognerebbe commissionarla ad enti pubblici, non ad una compagnia privata estrattiva. Noi temiamo che questa ricerca sia solo il preludio a una potenziale concessione estrattiva», ribatte Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria.

ANCHE DANIELE BUSCHIAZZO, sindaco di Sassello e presidente del Parco del Beigua, è molto critico: «Si tratta di una ricerca inutile, del tutto ridondante, gli elementi conoscitivi sono già tutti presenti e ben noti. Inoltre l’area interessata dalla ricerca, fuori dal parco, comprende anche zone protette, dove secondo le delibere regionali, non possono essere realizzate miniere o cave: 46 ettari della Zona Speciale di Conservazione inserite nella Rete Natura 2000 e 50 ettari di Geoparco nel Comune di Sassello». A quanto pare non ci sarebbe neppure la possibilità di lavorare il titanio in loco e quindi una potenziale cava non gioverebbe all’economia locale, ma aggraverebbe il traffico e l’inquinamento.

«L’ECONOMIA DI QUESTE ZONE SI BASA su un’agricoltura sostenibile, sulla filiera corta, sulla tutela dei boschi e sul turismo di qualità, la cava distruggerebbe tutto questo», sottolinea il presidente di Legambiente Liguria.

LA QUESTIONE E’ ARRIVATA AL MINISTRO della Transizione ecologica Roberto Cingolani, poiché si rischia di perdere il riconoscimento Unesco Global Geopark, e al Segretario Generale della Commissione nazionale per l’Unesco, Enrico Vicenti. «La strategia della Cet è chiara, continue richieste di concessione, ricorsi, fino ad ottenere qualcosa», spiega Fabrizio Antoci, sindaco di Urbe: «Urbe e Sassello sono dei piccoli paesi montani, 2400 anime in tutto. Attualmente abbiamo due vertenze aperte, una al Consiglio di Stato e a breve il ricorso al Tar, non possiamo continuare a buttar via soldi pubblici così. Se la Regione avesse accolto la nostra richiesta di fare entrare anche Urbe nel comprensorio del parco, oggi forse saremmo tutti più tranquilli. Eppure, quando nel 2017 abbiamo chiesto alla Regione di entrare nel Parco, ci è stato risposto di no, per motivi puramente politici. In questo modo il nostro territorio resta molto vulnerabile».

I DANNI SONO ANCHE SANITARI: il minerale grezzo potenzialmente estraibile, sarebbe solo il 6% della roccia mentre il rimanente 94% andrebbe collocato in discariche da crearsi nelle vicinanze. Gli scavi e le detonazioni andrebbero a sollecitare l’amianto, presente per il 10/15% nelle rocce del giacimento. Gli asbesti hanno la tendenza a separarsi sotto forma di fibra e minutissimi aghi, e se inalati sono cancerogeni. «Questa battaglia non la facciamo solo per le quattro anime dei nostri piccoli paesi». Conclude appassionato Antoci: «La facciamo per l’ambiente, per quelli che ci circondano e per le future generazioni. Stiamo parlando di una gigantesca cava a cielo aperto, che inghiottirebbe un monte e intere frazioni. In questa zona inoltre passa il Torrente Orba da cui prendono l’acqua tutti i comuni del basso Piemonte. La cava andrebbe a compromettere la storia e la vita di un’intera valle. Demolire un monte con milioni di metri cubi di materiale, con le polveri di amianto che possono arrivare anche a vari km di distanza, sarebbe un disastro ambientale e sanitario incalcolabile».