La vecchia e sempre nuova domanda «a che cosa serve la storia?» riceve dal libro di Allegra Iafrate, Cercar tesori tra Medioevo ed Età Moderna (Laterza «i Robinson/Letture», pp. XII-263, e 20,00), risposte fresche e imprevedibili. Azioni che tutti noi abbiamo compiuto almeno una volta nella vita – gettare una monetina in una fontana – e frasi che abbiamo sentito dire fin dall’infanzia – «abracadabra» o «specchio delle mie brame» – vengono qui lette come ultimo anello di una catena che si snoda attraverso millenni nel tempo e attraverso civiltà diversissime nello spazio. È, questo guardare alle nostre azioni e parole di ogni giorno con un cannocchiale rovesciato, un aspetto essenziale dello studio della storia, altrettanto importante del suo contrario: cioè osservare il passato con il cannocchiale dal verso giusto, avvicinandolo a noi.
Parlando di cannocchiale, siamo già entrati nella taverna – «all’insegna del Cannocchiale», appunto – di Long John Silver e quindi nel cuore stesso del libro, che studia la nascita della «ossessione sociale condivisa» (p. 187) per la ricerca di tesori, collocandola nel Mediterraneo medievale e moderno ma, dove necessario, spingendosi anche molto più indietro nel tempo e in là nello spazio.
È in quel mare, dove i cristiani cercano di sottrarre ai saraceni le reliquie dei santi, che l’immaginario legato ai tesori si cristallizza intorno a quelle sue tre coordinate principali – valore, segreto e tempo – che condizionano ancora le nostre azioni e le nostre parole di uomini e donne del ventunesimo secolo. Per tornare ai due esempi fatti sopra, quando lanciamo una moneta in una fontana stiamo facendo un omaggio, distorto ma ancora riconoscibile, alle divinità delle fonti, che spesso erano le custodi di tesori sotterranei (a forza di gettarci monete, sono le fontane stesse a essere diventate dei piccoli tesori), mentre la formula magica per eccellenza viene forse da Abraxas, il nome della divinità orientale incisa sui talismani dei cercatori.
Ogni capitolo del libro è dedicato a uno degli ingredienti fondamentali di queste ricerche. Le mappe, innanzitutto, vero modello cognitivo attorno a cui è costruito il libro, che infatti contiene al suo interno anche le istruzioni per permettere a chi legge di trovare da sé un tesoro. E poi i custodi, il desiderio, gli strumenti…Importantissimi, questi ultimi. Pensiamo appunto agli specchi: ben prima che fossero fatti di vetro restituendo così un’immagine troppo fedele per far galoppare la fantasia e quindi innescare la ricerca, era nel loro metallo opaco, così come sulla superficie increspata dell’acqua, che nel passato gli uomini e le donne (soprattutto i primi, occorre dire) cercavano di intravedere il nascondiglio di ricchezze nascoste.
Il libro però, come si diceva, si sviluppa non solo lungo la linea del tempo ma anche attraverso lo spazio, specialmente nel mondo islamico, dove quello mutalibun, del cercatore di tesori, diventa un lavoro vero e proprio. Infatti ritroviamo il cercatore, con la lunga barba bianca dei nati sotto Saturno, in uno degli oltre trecento riquadri del grande ciclo di affreschi di ispirazione astrologica che, all’interno del Palazzo della Ragione di Padova, illustra gli influssi delle stelle sui caratteri e sui mestieri umani. Non dobbiamo per questo essere indotti a pensare che il mestiere del cercatore di tesori esistesse anche in Europa. Del resto, gli affreschi padovani erano ispirati alle opere dell’astrologo Pietro d’Abano, che a sua volta si abbeverava a fonti arabe, per cui quella figura sarà esistita più a livello di immaginario sociologico che di composizione sociale vera e propria.
Eppure, se andiamo a leggere, come ha fatto anche Allegra Iafrate, le carte prodotte dai tribunali civili ed ecclesiastici vediamo che c’erano degli attori sociali che, in qualche modo per statuto, venivano considerati particolarmente indicati per il ritrovamento di tesori. Per compiere una ricerca che richiedeva di sprofondare nelle viscere della terra e quindi ricordava il viaggio nell’Aldilà, si interpellavano figure liminali, ai margini della società cristiana, ma proprio per questo paradossalmente più libere di utilizzare gli incantesimi e gli scongiuri magici necessari per il rinvenimento. Interrogando con nuove domande documenti in parte già studiati da altri, il libro ce li fa sfilare davanti, questi cercatori: un armeno a Venezia, un ebreo a Firenze, uno schiavo musulmano a Livorno e così via.
Come si vede, nel ricorso a queste figure agiva anche uno stereotipo, purtroppo ben vivo anche oggi nella percezione comune che si ha di comunità marginali, come quelle di rom e sinti: per ritrovare tesori, ci si rivolge a gruppi marchiati dallo stigma di una proverbiale avidità, senza pensare che i loro membri tesaurizzano non per innata brama di ricchezza, ma perché esposti alle incertezze di un inserimento precario in un contesto sociale ostile.
Come si spiegano allora tutte queste – e molte altre – continuità culturali invischiate intorno alla ricerca di tesori? Da un lato ci sono fattori antropologici, o comunque legati al modo in cui la nostra specie dà senso al mondo in cui vive. Se, come ci esorta l’autrice, facciamo attenzione all’espressione ‘caccia al tesoro’, capiamo subito che il tesoro è qualcosa in perenne movimento, che appare e poi scompare proprio come una belva braccata, pronta a riemergere dove meno la si aspetta. Dall’altro lato però la lunga durata di questa febbre dell’oro è anche legata a concrete condizioni di instabilità sociale: il caso cinquecentesco, studiato anche dall’autrice, del medico ebreo Jechiel da Pesaro, che interrompe la sua incerta vita di cercatore di tesori per convertirsi al cristianesimo e integrarsi così nella società fiorentina col nome di Vitale Medici, è paradigmatico di come «quest’ansia di cercare ricchezza immediata non sia poi così diversa da quella che anima ancora oggi i tanti figli di Saturno che, nonostante gli insuccessi e i soldi spesi a vuoto, continuano a scavare sotto la superficie di un gratta e vinci, sperando di trovare un tesoro che cambi loro la vita».
Ma nessuno si senta al sicuro. Nemmeno gli studiosi, i professori, i…ricercatori si illudano di essere tanto diversi, sempre persi e assorbiti anche loro nella caccia ai tesori della conoscenza.