In più di una lettera, sin dall’inizio del loro scambio epistolare, Montale promette a Clizia – senhal per Irma Brandeis, studiosa americana che il poeta conobbe nel ’33 e con la quale intrecciò una relazione durata fino al ’39 – un amuleto o un talismano. Per cosa? Per proteggerla? Per salvare il reciproco amore dall’ondata nazista, dalle leggi razziali (la Brandeis era di origine ebraica), e dalle ingerenze sentimentali? Secondo Rosanna Bettarini, «Eusebio» «cerca introvabili amuleti per imprigionare i ricordi». Un modo per fermare il tempo fatidico della separazione. Tuttavia non ci è dato di sapere né di capire, almeno dalle lettere, se l’invio montaliano del «pegno» andò a buon fine. Eppure, qualcosa accadde nei fogli della loro vita. Come sempre in Montale, «il nome agì»: Marco Sonzogni, docente di letteratura italiana alla Victoria University di Wellington, montalista e curatore del «Meridiano» Seamus Heaney, ricostruisce una fitta trama di rimandi e di «occasioni», di flebili piste e di inconfutabili prove filologiche, tessendo la sua requisitoria con un timbro a tratti poliziesco che lascia il lettore sulle spine sino all’ultima riga. «Il guindolo del Tempo» Montale, Clizia e il pegno (Archinto, pp. 102, euro 14,00) attesta con estrema evidenza che il poeta genovese spedì realmente l’amuleto, il quale arrivò a destinazione ed è tuttora conservato dagli eredi della Brandeis. Il saggio critico si avvale di una lusinghiera acquisizione nel silvestre e variegato campo di studi montaliani, in forza di quell’oggetto che lo studioso lombardo ha avuto fisicamente tra le mani, per analizzarne le fattezze, carpirne il significato recondito.
«Accanto ai libri e agli animali – spiega Sonzogni –, solenne e silenzioso, sfila un esercito di oggetti: “mille cianfrusaglie” per dirla con Montale. Svariati e stravaganti esempî di “ciarpame reietto” che Gozzano avrebbe annoverato tra le “piccole cose di pessimo gusto”. Araldi di quella che Blasucci, fine interprete della “qualità degli oggetti montaliani”, definirebbe con eleganza “chincaglieria domestica”. È proprio in virtù di questa “compagnia” che ho deciso (sospeso tra scoop e svista, tra esegesi ed esorcismo) di aprirlo lì quel misterioso pacco postale americano, e in presenza di due testimoni: il proprietario del negozio e mia moglie. Ignari tutti e tre che stava per iniziare il viaggio “a rovescio”, affascinante e tortuoso, di un piccolo-grande oggetto: il “pegno” donato da Montale a Clizia. Alla sorpresa e ai dubbi, infatti, ha fatto fronte una certezza: poche parole, in inglese e in italiano, scritte su un fogliettino di carta, racchiudevano l’identità, la provenienza e la funzione di quell’oggetto».
Inizia così un avventuroso viaggio che conduce l’italianista ad associare l’amuleto al «topo bianco» di Dora Markus – la cui metamorfosi avviene con Clizia in gondola nella tragicomica scena che ha per protagonista una «pantegana» –, al «liocorno egiziano» promesso nelle lettere del ’33, sino agli «sciacalli al guinzaglio» del celebre mottetto «La speranza di pure rivederti».
«Il titolo del mio ultimo intervento su Montale e Brandeis – scrive Sonzogni – era un verso del poeta: “La speranza di pure rivederti”, incipit del sesto mottetto (…). Mi era sembrata una scelta giustificata dacché portavo le prove che “E. M.” e “I. B.” avevano cercato di rivedersi un’ultima volta. Intenzione, purtroppo, rimasta tale. Mentre Irma si preparava a partire da New York, a Milano Montale spirava in ospedale dopo una breve malattia. Non per questo, però, meno significativa e simbolica di una lunga fedeltà per altro mai venuta meno e, in qualche modo, sempre “protetta”».
Il poeta premio Nobel, dopo quarantadue anni di silenzio – nel giugno del 1981, a pochi mesi dalla morte –, scriverà un ultimo, commovente biglietto a Irma: «You are still my Goddes, my divinity. I prie for you, for me. Forgive my prose. Quando, come ci rivedremo? Ti abbraccia, il tuo Montale». Il pastiche letterario che «Arsenio» realizza nelle Lettere a Clizia è mirabile e bisognerebbe considerarlo un emblema del noveau roman, cioè un’avanguardistica opera epistolare alla anti-Jacopo Ortis. Innumerevoli le pagine che rivelano umorismo, sagacia, talora spietatezza di giudizio, nonché l’enorme capacità d’invenzione linguistica, nelle sabbie mobili di un idioletto in cui italiano e inglese si intrecciano sino a fondersi, dando luogo a un «inglesiano» buffo e romantico al contempo, contraddistinto dall’incredibile (e inconfondibile) afflato metafisico.
Sappiamo che il «pegno» è arrivato nelle mani affusolate di Clizia («Era appena la Vita, qualche cosa / che tutti supponiamo senza averne le prove, / la vita di cui siamo testimoni / noi tutti, non di parte, non di accusa, / non di difesa ma che tu conosci / anche soltanto con le dita/ quando sfiori un oggetto che ti dica io e te / siamo uno»). E Sonzogni ci rivela cos’è e a quale ambito semantico rimanda. A chi voglia arrivare a capo del mistero, non resta che leggere il libro.