Quando Enrico Letta rilancia alla direzione del Partito democratico l’alleanza con i 5 Stelle di Conte, sa bene che questo non è più l’unico asse sul quale basare il campo largo: se n’è accorto persino Goffredo Bettini. Eppure, non c’è un singolo attacco frontale e coordinato al Movimento 5 Stelle o una sola linea di frattura. La forza politica spaesata dalle incertezze legali, indebolita dalle divisioni esito della partita sul Quirinale e resa silente dall’essere parte del patto di maggioranza che sostiene Draghi si trova piuttosto al centro di un campo di forze e tensioni differenti. Diversi sommovimenti, spesso indipendenti l’uno dall’altro, descrivono una situazione in cui la (più che cospicua) dote di consensi e parlamentari acquisita in questa legislatura dal M5S è preda delle mire di diversi soggetti. Come in fondo è naturale che sia, vista l’eterogeneità dell’oggetto in questione.
Carlo Calenda è stato ieri protagonista di un vistoso diverbio televisivo con Dino Giarrusso, uno dei grillini più popolari. Ma lui stesso, se si legge oltre le battute caustiche e si guarda al di là dei veti tombali sul M5S, ammette che in qualche modo con qualcuno di quell’area bisogna parlare. Oppure pone una domanda retorica che sembra alludere a un’evoluzione delle cose: «Che ci fa Giuseppe Conte con quelli là?», dice il leader di Azione!, quasi a voler tracciare una (per lui inedita) demarcazione tra l’ex presidente del consiglio e i 5 Stelle delle origini.

Ma per capire le possibili evoluzioni del caotico mondo grillino bisogna tenere d’occhio anche la la galassia ecologista. Nei mesi scorsi, quell’area ha provato a raccogliersi attorno alla Alleanza per la transizione ecologica e ha mantenuto un’interlocuzione con il sindaco di Milano Beppe Sala. Il quale ha a sua volta un ottimo rapporto con Beppe Grillo. Questo basta per far sospettare che se il fondatore dovesse averne abbastanza della sua creatura e volesse davvero rompere con Conte senza però lasciare spazio a quelli che reclamano un ritorno al passato «nè di destra né di sinistra», potrebbe fare avverare la sua profezia sul Movimento 5 Stelle «biodegradabile» e farlo sciogliere in un contenitore ecologista. Sono al momento scenari fantapolitici, ma bisogna sapere che corrisponderebbero ai desiderata espressi da Grillo dopo la fine del governo Conte bis: un M5S saldamente schierato nel campo progressista e impegnato sul fronte della transizione energetica. Non sono da escludere, tra gli attori che si muovono attorno al corpaccione del M5S, i promotori della coalizione a sinistra del Pd costituita da Potere al popolo e Rifondazione comunista che alle elezioni del 2023 dovrebbe essere guidata dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. La settimana scorsa hanno formalizzato la componente nel gruppo misto della camera, costituita proprio da ex grillini.

Ciò non toglie che per quel che rimane della base grillina e per un pezzo di parlamentari non possano essere attratti dall’opzione «richiamo della foresta», esplicitata in questi giorni da Elena Sabatini, compagna di Davide Casaleggio e socia dell’associazione Rousseau che esce in questi giorni con un libro che ha proprio la funzione di riscrivere la storia di questa legislatura e dell’evoluzione del M5S. Secondo i parametri della politica tradizionale, ogni scissione ha bisogno di contestare una mutazione genetica rispetto al ceppo originario: serve a giustificare la rottura in nome del ritorno all’identità primigenia. Nella ricostruzione di Sabatini, il soggetto portatore della mutazione nefasta è Giuseppe Conte. Quello che potrebbe ricondurre i 5 Stelle rifondati sulla retta via, manco a dirlo, Alessandro Di Battista.