Nelle ultime 24 ore, la Protezione Civile ha registrato 25 mila nuovi casi positivi e 356 decessi. Il calo dei nuovi casi è interamente dovuto al minor numero di tamponi effettuati nel weekend, meno di 148 mila. La percentuale di tamponi positivi infatti è rimasta elevata come nei giorni scorsi a quota 17%. Anche i pazienti in terapia intensiva sono sempre più numerosi e con i 100 di ieri arrivano a 2849 i posti letto occupati. Di questi, 670 sono negli ospedali lombardi.

LA SITUAZIONE ha costretto la cabina di regia a rivedere la classificazione del rischio delle regioni, nella giornata più caotica da quando è stata istituita. Anche Abruzzo, Liguria, Umbria, Basilicata e Toscana sono finite in fascia “arancione”, andando a fare compagnia a Puglia e Sicilia. Nelle nuove regioni “arancioni”, bar e ristoranti saranno chiusi del tutto e saranno vietati gli spostamenti non necessari tra un comune e l’altro. La provincia di Bolzano, invece di aspettare il governo, si è posta da sola in “zona rossa” adottando con un’ordinanza i provvedimenti più duri.

Ma i dati su cui sono state basate le decisioni sono stati diffusi solo a tarda sera, e in maniera parziale. Il tavolo, a cui siedono i rappresentanti del ministero della salute, dell’Iss e delle regioni ha ballato tutto il giorno, con i governatori nel ruolo scomodo di chi deve fornire ai tecnici le cifre per poi subirne le conseguenze. Il rapporto della cabina di regia parla di «criticità» che «ha comportato in questa settimana un ritardo nella ricezione dei dati consolidati dalle Regioni per la settimana 26 ottobre – 1 novembre che al momento è il dato consolidato più recente disponibile».

In Italia «si registra un Rt di circa 1,7» si è limitato a dire Gianni Rezza, direttore generale della prevenzione, tra una riunione e l’altra. «C’è un incremento per quanto riguarda i ricoveri in terapia intensiva. Questo giustifica l’adozione di interventi più restrittivi soprattutto nelle regioni più colpite». In realtà, tra le regioni “arancioni” ci sono anche territori come la Basilicata, che hanno un numero relativamente basso di contagi giornalieri. Ma in Basilicata i nuovi casi crescono più velocemente che in altre regioni: Rt è a 1,99, cioè in pieno “scenario 4”, il peggiore, che scatta al di sopra di 1,5.

ERA NELL’ARIA il declassamento della Liguria, unica regione del nord-est finita in zona gialla, mentre Piemonte, Lombardia e Val d’Aosta erano già “rosse” dopo il Dpcm. «La situazioni degli ospedali in Liguria resta pesante – commenta il governatore Toti – penso sia stato uno degli elementi decisivi della scelta». In effetti risultano occupati il 40% dei letti in terapia intensiva e il 71% tra i pazienti meno gravi.

Per l’Abruzzo, ha pesato l’indice Rt a 1,54, quasi uguale a quello di Umbria e Toscana (1,53). Ma per l’assessora abruzzese alla sanità, Nicoletta Verì, ha contato di più la situazione degli ospedali: «Abbiamo raggiunto la soglia di rischio del 30% delle terapie intensive e, di conseguenza, è scattata l’allerta». Anche in Umbria pesa la saturazione dei reparti, arrivata al 53% in quelli non intensivi. Ma anche la percentuale di tamponi positivi: «Per tre delle cinque regioni in zona arancione – ha evidenziato Rezza – è sopra la media nazionale: 18% per la Basilicata, 17,1% per la Liguria e addirittura 30% per l’Umbria».

NELLE ALTRE REGIONI già rosse la situazione non migliora ancora, nonostante il semi-lockdown. «Si segnala che sono state riportate molteplici allerte relative alla resilienza dei servizi sanitari territoriali in 9 Regioni», recita freddo il rapporto dei tecnici. Più esplicito il Nursind, uno dei sindacati degli infermieri: «Il Piemonte è in ginocchio. Servono provvedimenti drastici e urgenti per tirarci fuori da un possibile quanto probabile collasso sanitario» dice il segretario piemontese del sindacato, Francesco Coppolella.

Ma secondo il presidente degli ordini dei medici Filippo Anelli l’emergenza ormai non ha territorio e richiede un lockdown: «Se non si dovesse raffreddare questa curva fra 30 giorni avremo circa altre 30mila persone in ospedale, le rianimazioni supererebbero i 5mila posti occupati e addirittura si potrebbero contare 10mila morti in più. E questo non ce lo possiamo permettere».