Nei primi mesi del 1972, la storica etichetta discografica francese BYG Records chiudeva definitivamente i battenti, colpita dai debiti e sovrastata dalla concorrenza commerciale. Grazie a un’inconfondibile ricetta che comprendeva tutti i generi musicali più sperimentali dell’epoca e a un metodo di lavoro dettato solo da passione, istinto e coraggio imprenditoriale, BYG è tuttora sinonimo di novità e anticonformismo: un riflesso in musica di quegli anni Sessanta che, dalla Francia, rivoluzionarono il mondo non solo in ambito culturale.
Esattamente mezzo secolo dopo, la BYG tornerà a farsi sentire: grazie al lavoro di recupero e restauro della Charly Records, che ne detiene il catalogo, gli album più importanti di quella straordinaria stagione creativa – dal free jazz di Archie Shepp e Sun Ra alla psichedelia dei Gong, passando per i pionieri del prog e dell’avant-folk francese come gli Alice o il duo Areski & Brigitte Fontaine – verranno ristampati in edizioni speciali e fedeli in tutto e per tutto agli originali. Un’occasione unica per ripercorrere l’epopea di una piccola etichetta che, partendo da zero, si è resa protagonista di un’epoca, intrecciando la propria storia con alcuni dei momenti di rottura più importanti del periodo: la fantasia al potere del maggio francese, le incendiarie rivendicazioni del movimento internazionale panafricanista e il furore della rivoluzione free jazz afroamericana.

GLI INIZI
La storia della BYG inizia a Parigi nella primavera del 1967, quando tre amici accumunati da brevi esperienze nel settore discografico – Fernand Boruso, Jean-Luc Young e Jean Georgakarakos – decidono di mettersi in proprio, fondando un’etichetta e battezzandola con le iniziali dei propri cognomi. L’intenzione era quella di creare una label sussidiaria di alcune major statunitensi di black music e, parallelamente, inaugurare una catena di negozi di dischi nelle città universitarie francesi, per soddisfare la domanda della sempre più numerosa popolazione studentesca. Le prime pubblicazioni, quindi, furono ristampe di classici jazz e r&b ottenuti in licenza: Louis Armstrong, Otis Redding, Ike & Tina Turner e una serie di modeste raccolte antologiche.
Tutto cambiò a partire dall’anno successivo, quando i tre decisero di produrre musica originale in maniera autonoma. Abbandonato il progetto dei negozi, si concentrarono su un’intensa attività di scouting nell’ambito della musica d’avanguardia dell’epoca: tutto ciò che era libero, alternativo e iconoclasta attirava la loro attenzione. La BYG aveva un nuovo obiettivo: usare la musica per infrangere e superare ogni tipo di barriera convenzionale.

DECISIVO
L’ingresso in società di Claude Delcloo, uno dei protagonisti assoluti della controcultura francese a cavallo del Sessantotto, si rivelò decisivo. Già percussionista nel Full Moon Ensemble, Delcloo era conosciuto soprattutto per essere il fondatore di Actuel, rivista di musica e fumetti underground autoprodotta e distribuita artigianalmente. Fu lui a suggerire agli altri di interessarsi all’evoluzione del jazz d’oltreoceano: negli Stati Uniti, la nascente scena free stava riscrivendo le regole del genere, con performance e incisioni tanto estreme dal punto di vista musicale quanto impegnate dal punto di vista politico.
Actuel rappresentò così il tramite ideale per l’incontro tra questi due mondi, solo geograficamente distanti. Nell’estate 1969 Delcloo e il fotografo Jacques Bisceglia partirono alla volta di Algeri per un reportage sul Festival Culturale Panafricano: un evento epocale che, sfruttando l’onda di entusiasmo nel periodo della decolonizzazione, attirò in Algeria artisti, attivisti e intellettuali da tutto il mondo per celebrare la cultura e l’identità africana, con l’obiettivo di chiudere definitivamente i conti con il passato imperialista e le ingerenze culturali coloniali. Finanziato dall’Organizzazione dell’Unità Africana dell’allora presidente algerino Houari Boumédiène, fu una dieci giorni di convegni, spettacoli e concerti a cui parteciparono tutti i volti della diaspora africana: politici e attivisti indipendentisti, perfomer, scrittori e musicisti come Aminata Fall, Manu Dibango, Miriam Makeba e tanti altri.

VERSO ALGERI
Dagli USA atterrarono ad Algeri Nina Simone, Barry White, rappresentanti del Black Panther Party e una folta delegazione della rivoluzione free jazz da New York: Archie Shepp, Alan Silva, Sunny Murray, Clifford Thornton, Dave Burrell. In quegli anni, gli Stati Uniti di Nixon erano diventati un paese inospitale per gli afroamericani, e gli artisti alternativi più impegnati politicamente erano alla ricerca di nuovi lidi dove esportare il proprio talento. Gli emissari della BYG approfittarono del festival per invitare tutti i jazzisti a Parigi, che dopo il maggio ’68 era diventata la capitale della controcultura e terreno fertile per ogni rivendicazione politica e sperimentazione artistica. Insomma, il luogo ideale per far ascoltare la propria voce: gli alfieri del free, capitanati da Shepp, accettarono l’invito e partirono per la Francia.
L’approdo dei free jazzisti a Parigi portò alla nascita della leggendaria serie BYG/Actuel: 52 Lp pubblicati tra il 1969 e il 1972, la maggior parte dei quali incisi proprio nella stessa estate del festival di Algeri. La BYG affittò gli studi della Saravah, una label amica, e, per le jam sessions più numerose, gli studi Davout, ricavati in un vecchio cinema alle porte della città. Le sedute di registrazione, senza tempi né orari fissi, diventarono una sorta di maratona in cui in pochi giorni si alternarono musicisti e turnisti di generi, stili e gruppi diversi. Insieme ai già citati Shepp, Silva e Murray, passarono da quelle parti Don Cherry, Anthony Braxton, Sun Ra con la Arkestra, Jimmy Lyons e l’Art Ensemble of Chicago. Oltre all’inestimabile qualità degli interpreti, la serie di dischi fu resa riconoscibile da Claude Caudron, che ideò una grafica moderna e di impatto, unica per quell’epoca: copertine bianche e apribili con grandi fotografie in quadricromia su fronte e retro.
L’etichetta, nonostante i pochi mezzi e una distribuzione limitata, riuscì a costruirsi una nicchia di ascoltatori, prendendosi il merito di essere stata la prima label – insieme all’americana ESP – a dedicare grande spazio alla fire music e ad artisti che, seppure oggi siano considerati veri e propri maestri, all’epoca furono bistrattati – soprattutto in patria – da pubblico, critica e dall’ambiente musicale stesso. La BYG, però, non fu solo free jazz: per l’etichetta uscirono anche i primi dischi dei Gong di Daevid Allen, le sperimentazioni sonore di Terry Riley, del collettivo Musica Elettronica Viva e i debutti di band francesi come i Coeur Magique e gli Alan Jack Civilization. La BYG raggiunse l’apice della popolarità nel 1969, con il Festival Actuel ad Amougies, in Belgio. Nello stesso anno dei grandi festival rock internazionali – ad Harlem e Woodstock negli Stati Uniti, all’isola di Wight in Gran Bretagna – i ragazzi della BYG organizzarono un grande evento di musica rock e d’avanguardia, che inizialmente si sarebbe dovuto svolgere a Parigi in autunno. Quattro giorni di musica, con una line-up d’eccezione: Pink Floyd, Frank Zappa, Ten Years After, Yes, Soft Machine, Keith Tippett e Captain Beefhart per il rock; Don Cherry, Archie Shepp, l’Art Ensemble of Chicago, Steve Lacy e Joachim Kühn per il jazz, oltre a numerosi musicisti locali emergenti. Le autorità francesi, temendone l’entità, non autorizzarono l’evento, costringendo gli organizzatori a uno spostamento dell’ultimo minuto in una piccola città nel cuore delle campagne belghe.

UN SUCCESSO
Nonostante ciò, il festival fu un successo, e la BYG si consacrò definitivamente come punto di riferimento europeo per l’improvvisazione e i musicisti più innovativi del periodo.
Nel 1972, esaurite le riserve di incisioni accumulate negli anni precedenti, i fondatori della BYG si separarono. Young fondò la Charly, ancora oggi tra le più importanti etichette europee specializzate in ristampe; Georgakarakos fondò la Celluloid, pregiata etichetta alternativa, e, curiosamente, a fine anni Ottanta ebbe un ruolo demiurgico nell’esplosione del fenomeno globale della Lambada. Delcloo e Bisceglia, invece, continuarono a lavorare per Actuel, che, fino alla chiusura nel 1994, fu la rivista cardine della controcultura francese.

FUORI I DISCHI
Free jazz, rock psichedelico, musica contemporanea, blues e folk alternativo. Artisti provenienti da ogni parte del mondo approdati – o trovatisi per caso – a Parigi nell’estate del 1969: il posto giusto al momento giusto. Quella stagione rappresentò un momento di straordinaria densità e prolificità artistica, che permise alla BYG di raccogliere materiale per le pubblicazioni di un biennio. In una vecchia intervista, Jacques Bisceglia, il fotografo che in prima persona ingaggiò gli artisti al festival di Algeri, sintetizzò così lo spirito di quel periodo: «Si diceva che pubblicassimo musica che la gente non voleva ascoltare. Nemmeno noi, però, ci rendevamo conto che quelli erano dischi destinati a rimanere nella storia». Ecco una selezione di alcune delle uscite più interessanti, curiose e iconiche dell’etichetta.

Don Cherry, Mu First Part (1969), Mu Second Part (1970)
La pubblicazione inaugurale della BYG/Actuel – affidata al trombettista Don Cherry e al percussionista Ed Blackwell – è un compendio ideale per comprendere lo spirito innovativo e creativo che caratterizza tutta la serie. Sembra un’orchestra, tanta è la potenza sprigionata in vinile, ma alla fine sono solo in due: tra flauti indiani e in bambù, campane, pianoforte e la classica pocket trumpet di Cherry, l’improvvisazione scorre libera e senza fronzoli, alternando momenti meditativi d’ispirazione orientale ad assoli esplosivi e prepotenti.
La registrazione, avvenuta agli studi Saravah nella magica estate 1969, è stata divisa in due volumi complementari, numero di catalogo 1 e 31; i coloratissimi disegni in copertina sono opere di Moki Karlsson Cherry, eclettica artista visiva e compagna di vita di Don.

Art Ensemble of Chicago, A Jackson in Your House (1969)
Anche la seconda uscita della collezione è un album di eccezionale portata storica: A Jackson in Your House rappresenta il debutto discografico assoluto dell’Art Ensemble of Chicago. Il gruppo a metà anni Sessanta si trovava in un momento di crisi artistica, e la città di Chicago non garantiva i giusti stimoli a Lester Bowie e soci. L’invito della BYG – recapitato da Delcloo tramite l’AACM (Association for the Advancement of Creative Musicians), l’organizzazione-sindacato dell’avanguardia jazzistica chicagoana – si rivelò provvidenziale: l’Ensemble approdò a Parigi per un’incisione e finì per restarci per quasi due anni, trovando la propria dimensione ideale e ampi spazi per esibirsi e registrare.
L’album, seppur inciso in formazione ridotta – un quartetto formato da Lester Bowie, Malachi Favors, Joseph Jarman e Roscoe Mitchell – è un’opera seminale e pionieristica; un’ora travolgente ed esilarante tra poesia, divagazioni teatrali, divertissement e improvvisazioni collettive.

Archie Shepp, Blasé (1969)
Shepp fu l’artista che più di tutti si fidò della BYG, arrivando a pubblicare ben cinque dischi per la label. Blasé è un disco anomalo e speciale, in cui sono presenti inclinazioni gospel e blues, oltre a rimandi alla tradizione della black poetry. Insieme a una sezione ritmica di primo livello – Malachi Favors al basso e Philly Joe Jones alle percussioni – il sax di Shepp è accompagnato dal piano di Dave Burrell e dalle armoniche di Chicago Beau e Julio Finn. Ciò che rende davvero speciale il disco, però, è la partecipazione della cantante Jeanne Lee: lo spiritual tradizionale There Is a Balm in Gilead, tra tutti, è un pezzo che emoziona per il contrasto tra l’intensità del suono e la delicatezza del cantato.

Claude Delcloo, Arthur Jones, Africanasia (1969)
Editore alternativo, giornalista, talent scout ma anche virtuoso percussionista: la sesta uscita della serie fu il debutto discografico di Claude Delcloo che era, a tutti gli effetti, il direttore artistico dell’etichetta. Africanasia è un’opera in due movimenti eseguita con Arthur Jones, misconosciuto sassofonista nativo di Cleveland, e «turnisti» d’eccezione: Clifford Thornton, Roscoe Mitchell e Joseph Jarman tra gli altri. Un album reiterante e meditativo, profondo e originale in cui gli interpreti creano un nuovo continente sonoro, unendo ispirazioni africane ad accenni musicali asiatici.

Anthony Braxton, B-X°/NO-I-47° (1969)
Ogni disco della lunga e multiforme carriera di Braxton rappresenta un’esperienza d’ascolto non comune e che trascende ogni canone convenzionale. Partito da Chicago insieme ai componenti dell’Art Ensemble, anche lui rimase a Parigi più del dovuto, tornando in patria con due album come leader e svariate collaborazioni all’attivo. Il titolo del disco – e della lunga traccia finale – è la trasposizione leggibile di uno dei tipici diagrammi grafici con cui Braxton identificava le sue composizioni; registrato con Wadada Leo Smith, Leroy Jenkins e Steve McCall, l’album si avvicina agli stilemi della musica contemporanea, rivelando le influenze teoriche dei maestri John Cage e Karlheinz Stockhausen.

Gong, Magick Brother (1969)
Fu Jean Georgakarakos a proporre al chitarrista Daevid Allen, trasferitosi a Parigi dopo aver lasciato i Soft Machine, un contratto per tre album con la BYG. Magick Brother è il disco di debutto dei Gong, all’epoca formati da Allen, la cantante Gilly Smith e i polistrumentisti Didier Malherbe e Rachid Houri. Lungo le tracce che compongono il disco si possono sentire anche estemporanee ospitate di jazzisti passati in studio di registrazione: Burton Greene al piano, Earl Freeman e Barre Phillips al contrabbasso. Dieci canzoni di pura psichedelia tornate disponibili con la prima serie di ristampe targate Charly.

Musica Elettronica Viva, The Sound Pool (1970)
The Sound Pool è una delle pubblicazioni più estreme e coraggiose dell’etichetta. Musica Elettronica Viva era un collettivo formatosi a Roma, nella tumultuosa Trastevere degli anni ’60, che comprendeva una serie di compositori e artisti d’avanguardia perlopiù statunitensi: i tre membri principali erano Alvin Curran, Richard Teitelbaum e Frederic Rzewski. Registrato nel 1969, questo album è la trasposizione discografica ed edulcorata di una performance che i MEV già da mesi portavano in giro per l’Europa: un caos incontrollato in cui i musicisti – impegnati con strumenti elettronici e acustici più o meno convenzionali – invitavano il pubblico a portare qualsiasi oggetto capace di creare suoni o, meglio, rumori, per annullare la barriera tra artisti e spettatori. Nel complesso, un’opera non catalogabile e selvaggia tra rumorismo, ambient music, elettronica e improvvisazione, con più di venti persone impiegate nell’incisione: materiale che non poteva sfuggire alla BYG.

Areski & Brigitte Fontaine, L’incendie (1974)
La prima delle nuove ristampe del catalogo BYG riguarda quella che fu una delle ultime uscite, avvenuta nel 1974 a etichetta già dissolta. Areski Belkacem, compositore polistrumentista, e Brigitte Fontaine, istrionica cantante e performer, formarono una coppia affiatata negli anni ’70, tra i migliori esempi di cantautorato alternativo nella Francia di allora. Il disco è composto da 13 brevi tracce – la durata totale non supera la mezz’ora- di un avant-folk passionale e onirico; le due voci dialogano e si completano alla perfezione, con testi surreali, poetici e impegnati: Le 6 Septembre è dedicata alle vicende del Settembre nero del 1970 in Giordania, mentre Les Petites Madones è un’invettiva contro la pena di morte. Una perla da riscoprire.