Alexander Buzgalin è stato l’infaticabile organizzatore della tre giorni internazionale di studio e dibattito tenutasi a Mosca tra il 3 e il 5 novembre sulla rivoluzione d’Ottobre. Luciana Castellina, nel ringraziarlo per la straordinaria iniziativa, ha espresso la speranza che incontri come questi a Mosca si possano tenere ogni anno, per creare un collegamento permanente e sinergico tra le sinistre del mondo e quella russa.

Buzgalin, 63 anni, membro dell’ultimo Comitato Centrale del Pcus gorbacioviano, professore all’Università Lomanosov di Mosca, fondatore del movimento «Alternative» e della corposa rivista omonima quadrimestrale, si dichiara ancora orgogliosamente marxista e comunista. E malgrado i tanti impegni, trova il modo per incontrarci.

Siamo al 7 novembre, al centenario dell’Ottobre. Cos’è rimasto di quella esperienza?

Prima di tutto va detto che fu una vera rivoluzione e non un semplice capovolgimento politico. L’Ottobre cambiò la struttura economica, cambiò gli stili di vita, la morale, i parametri di riferimento dell’intera esistenza degli uomini. La rivoluzione produsse un uomo nuovo, l’«homo sovieticus». Alexander Zinoviev ha scritto una straordinaria parodia dell’Urss ma anche lui è stato costretto ad affermare che allora venne forgiato una sorta di «uomo nuovo». Venne dimostrato, non che poche decine di persone, ma decine di milioni possono lavorare per degli obbiettivi sociali, che il bene comune può essere più importante di un portafoglio gonfio o una bella macchina. Gli uomini non si sentirono più oggetti ma soggetti della loro storia. Oggi al massimo a cui siamo abituati a pensare è il raggiungimento di qualche riforma, mentre nel 1917 si produsse un mutamento qualitativo: è una bella differenza.

Ma ciò che ne seguì fu molto contraddittorio e tragico…

Una rivoluzione è qualcosa che nasce a partire da contraddizioni, non possiamo sceglierne le condizioni. La rivoluzione russa si sviluppò dentro una guerra dove morte e fame erano la normalità e in un paese arretrato. Non avvenne in condizioni ideali. In questo quadro le conseguenze della rivoluzione furono contraddittorie. Non si poteva pensare che ne sarebbe sorta una società «comunista perfetta».

In quel quadro non ci furono alternative: o la controrivoluzione bianca in Russia e poi il fascismo in Italia, Germania, Spagna e dappertutto, oppure quella cosa che fu lo stalinismo con i suoi campi di concentramento, i suoi delitti, le sue stragi, che però lasciò aperta una possibilità con la vittoria sul nazifascismo in Europa nella Seconda Guerra Mondiale.

Oggi da più parti si condanna la rivoluzione russa perché fu violenta…

Nell’Ottobre i soviet – e non i bolscevichi – nel 80% dei governatorati della Russia presero il potere pacificamente. Nell’altro 20% ci furono delle violenze, ma assai limitate. In seguito i vari Kerenskij dopo aver dato la loro parola di ufficiali che non sarebbero insorti, si organizzarono con le guardie bianche, ma non avrebbero comunque combinato nulla se non fossero venuti loro in aiuto i governi stranieri. Per cui le cose andarono diversamente dalle vulgate che circolano ampiamente. Se si vogliono rivoluzioni pure e non-violente allora è meglio sedersi sulla riva del fiume della storia e aspettare. Cosa si sarebbe dovuto fare in Cile nel 1973, quando Pinochet rovesciò il governo socialista di Allende? Arrendersi e farsi accompagnare pacificamente nello stadio di Santiago o resistere armi alla mano?

Ormai gli archivi sovietici sono aperti da un quarto di secolo. A che punto siamo con la ricerca storica sull’Ottobre e sulle sue conseguenze?

Siamo messi male. Ci sono accademici che hanno fatto solo la conta dei morti mettendo in un solo sacco le vittime della repressione, della guerra civile, delle carestie, della Seconda guerra mondiale attribuendole tutte a Stalin. Questo è un metodo ovviamente poco serio di fare storia.

Dall’altra c’è stato storiograficamente un recupero di Stalin: si è scoperta una sua certa vena intellettuale, si è enfatizzato il suo ruolo di statista, si è cercato di giustificare le repressioni come «necessarie» contro molti nemici del paese. Si sta cercando di far passare l’idea che la Russia ha sempre avuto, e sempre avrà, bisogno dell’ «uomo forte» viste le dimensioni del paese e la pluralità di culture. Per cui viva gli Zar, viva Stalin e viva Putin. Una visione che accomuna purtroppo tanti storici sia a destra sia a sinistra.

Per concludere con il presente, qual’è la situazione attuale della sinistra russa?

Non così tragica come sembrerebbe a prima vista. La maggioranza della popolazione ritiene un valore fondante l’uguaglianza e vorrebbe uno forte welfare state. Se si esclude forse la «questione Lgbt» la maggioranza dei russi è «naturalmente» di sinistra. Ciò viene rappresentato politicamente prima di tutto dal Partito comunista di Zjuganov e da «Russia Giusta». Purtroppo questi partiti sono sciovinisti, alimentano una nostalgia acritica per l’Urss, e vorrebbero in politica estera una Russia «imperiale».

Ma la gente non gli crede, percepisce che una volta al potere non si scontrerebbero con le oligarchie, con i potentati corrotti, ecc. I russi attendono una alternativa al potere attuale che sappia rischiare, che sia pronta ad andare in galera per le sue idee. E non è il caso degli attuali partiti della sinistra e dell’opposizione in generale.