E così, anche Michael Jackson ora è negli inferi. Il documentario Leaving Neverland, in onda sul canale NOVE in due puntate (la seconda questa sera), ha riportato in primo piano le accuse di pedofilia da cui Jackson era stato assolto nel 2005. Puntuale, come siamo abituati dallo scoppio del MeToo in poi, è arrivato l’ostracismo: radio che decidono di non trasmettere le sue canzoni, musei che rimuovono statue e immagini, una linea di abiti a lui ispirata subito ritirata, e via con una serie di operazioni che, per prendere le distanze dalla persona, buttano mare anche l’opera dell’artista.
Quando scoppiò il caso Harvey Weinstein, nel giro di pochi giorni il produttore passò dall’essere uno dei più potenti di Hollywood a un reietto. Stessa cosa successe a Kevin Spacey che fu sostituito in fretta e furia nel film, quasi concluso, Tutti i soldi del mondo. Una sorte simile è capitata a Woody Allen, che ormai è un paria in patria, a Jean-Claude Brisseau che da un giorno all’altro si vide cancellata una rassegna alla cinémathèque di Parigi e questi sono solo alcuni esempi.

SE IL METOO ha avuto tanto seguito è perché il sistema del ricatto sessuale che ha intossicato per decenni il mondo dello spettacolo era diventato insostenibile e le donne, ma anche qualche uomo, hanno cominciato a parlare. Ma se le denunce hanno tolto la maschera a un sistema, c’è da restare quanto meno interdetti di fronte alla furia con cui, da un giorno all’altro, si elimina da programmi, cartelloni, palinsesti e quant’altro anche l’opera degli artisti incriminati.
Che cosa c’entrano i film prodotti da Weinstein, quelli interpretati da Spacey con il giudizio sulla loro persona? Forse diventano meno guardabili o ascoltabili solo dopo che sono venute a galla le loro malefatte? Se così fosse, significa che o non eravamo capaci prima di giudicare con obiettività un’opera, o siamo diventati influenzabili adesso. Continuare a guardare Pulp Fiction non vuol dire condividere l’atteggiamento predatorio di Weinstein , ma semplicemente apprezzare un suo lavoro. Si tratta di separare i piani di lettura, mentre il rischio che si sta correndo è quello di sovrapporli e, se si va avanti a ragionare così, potrebbe finire che prima o poi dovremo togliere dai musei i quadri dipinti da Picasso perché era macho dominante, quelli di Caravaggio perché aveva il coltello facile, non sederci più su una poltrona di Le Corbusier in quanto maschilista, eliminare dai teatri Puccini che tradiva la moglie, tanto per fare alcuni esempi, e giù per una china sempre più iconoclasta che rischia di diventare censura.

L’ALTRO aspetto irritante di tutto questo moralismo è l’ipocrisia. Sembra che cadano tutti dal pero, come se prima nessuno dell’ambiente si fosse accorto di cosa succedeva. Tutti a far finta di niente finché qualcuno ha parlato. Per tornare al tema del giorno, le accuse di pedofilia a Michael Jackson, il fatto che il cantante amasse circondarsi in modo sospetto, e piuttosto morboso, di bambini era stranoto anche quando era all’apice del successo. Eppure molti genitori non trovavano strano che i loro figli dormissero per giorni nello stesso letto del cantante, anzi la cosa li rendeva euforici e orgogliosi. Ma anche ciechi. Erano stati colpiti dall’abbaglio della star, icona moderna santificata come una divinità. Il problema era già stato affrontato e risolto dai greci che si inventarono un Olimpo zeppo di dei con debolezze umane, e quindi specchi dell’uomo. Dovremmo ricordarcelo prima di svenire di fronte a un attore o a un cantante. La persona non è il personaggio.