Corpi seminudi colorati di bianco spettrale, corpi con posture grottesche e quasi deformi, visi in costante stato si stupefazione e movimenti lenti ed innaturali, quasi inorganici. Chi ha avuto l’occasione e la fortuna di studiare o di frequentare la scena artistica underground giapponese dell’ultimo mezzo secolo si sarà sicuramente imbattuto almeno una volta nel Butoh, la danza delle tenebre iniziata quasi sessant’anni fa nell’arcipelago da Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno. Questo 2016 è un anno importante per il Butoh, prima di tutto perché ricorre il trentennale dalla morte di Hijikata ed in secondo luogo perché in luglio aprirà a Kyoto un teatro esclusivamente dedicato a quest’arte performativa ancora così difficile da contenere in rigide definizioni, un’inaugurazione che segnala un momento di snodo cruciale.

Prima rappresentazione Butoh «ufficiale» nel 1959 quando a Tokyo fu portata in scena una performance tratta da «Colori Proibiti» di Yukio Mishima, protagonisti proprio Hijikata e Ohno Yoshito, figlio di Kazuo. Questo nuovo modo di concepire la rappresentazione come qualcosa di antispettacolare e quasi e paradossalmente antirappresentativo suscitò fin dal suo inizio molto clamore, in essa infatti venivano espresse in modo surreale e quasi orrorifico tematiche quali l’omossesualità, la deformità e lo stato di costante malattia dell’essere (umano). Il Butoh si sarebbe però affermato nel milieu underground nipponico ed internazionale solamente dalla fine degli anni sessanta ed oggi, dopo quasi sei decenni, si è trasformato in qualcosa di assai diverso e mercuriale tanto che, uno dei suoi rappresentanti più importanti come Min Tanaka, un paio di anni fa ha deciso di distaccarsene.

Il processo di trasformazione in «altro» del resto è insito fin nell’atto della sua concezione, il butoh nasce e si sviluppa in un periodo di forte cambiamento sociale infatti, una congiuntura storica in cui tutte le arti si ibridavano l’un altra, letteratura, cinema, teatro, musica e finivano per materializzarsi in un violento sentimento di resistenza e di ribellione. Una delle performance più famose e che meglio di altre rappresenta il Butoh del periodo, la figura di Hijikata e le profondità filosofiche che quest’arte è capace di sondare è «Hijikata Tatsumi to nihonjin Nikutai no hanran», ovvero «Hijikata Tatsumi e i giapponesi. La ribellione del corpo di carne», portata in scena nell’anno topico 1968 ed in cui l’artista giapponese al processo di cattura di cui la società sembrava essere sempre più permeata contrapponeva il suo corpo di carne, quasi una viande artaudiana, un corpo inutile, inerte ed inorganico. Della figura di Hijikata e della sua influenza nel mondo delle arti si è parlato e discusso lo scorso mese nell’Asian Arts Theatre di Gwangju nella Corea del Sud in occasione di una retrospettiva a lui dedicata nell’anniversario della morte, il butoh quindi, a cavallo fra quello storico degli inizi e quello che verrà, resta ancora oggi uno spazio artistico ricco di suggestioni e di influenze, anche perchè inevitabilmente si è internazionalizzato.

Paradossalmente più popolare all’estero che in patria, esistono vari volumi in lingue occidentali ed in Asia che introducono o approfondiscono questa danza delle tenebre, nel 2017 la città di Sapporo organizzerà un grande avvenimento, il Sapporo International Butoh Festival ma, come già detto in apertura, l’evento forse più atteso è l’apertura di un teatro specializzato nella città di Kyoto. Il sette luglio prossimo infatti nella vecchia capitale giapponese aprirà una nuova struttura tutta dedicata ad ospitare performance di Butoh, un teatro che sarà il primo del suo genere in tutto il mondo.

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