Visioni

Butch Morris, quella dimensione in più per esplorare confini

Butch Morris, quella dimensione in più per esplorare confiniButch Morris

Percorsi Attraversando «L’arte della Conduction», il libro di Butch Morris pubblicato in edizione italiana. Un lessico descrittivo per unire notazione e improvvisazione, il ruolo degli interpreti, le istruzioni interrogative

Pubblicato circa un mese faEdizione del 21 agosto 2024

La cronologia delle Conduction di Lawrence D. «Butch» Morris che si può scorrere nell’ultimo capitolo del suo L’arte della Conduction, curato da Daniela Veronesi (Libreria Musicale Italiana, 220 pp. circa, 28 euro), ne repertoria circa 200, tenute in 84 città di 19 paesi. Ma fra luoghi tanto diversi quanto New York, Amsterdam, Kassel, Berlino, Buenos Aires, Istanbul, Tokyo, Seul, anche l’Italia ha avuto una parte non trascurabile in un’opera che si staglia come certo non marginale nella musica contemporanea dalla metà degli ottanta al primo decennio del nuovo secolo: dalla prima Conduction numerata italiana al festival di Angelica a Bologna nel ‘93, a Verona Jazz nel ‘94 e nel ‘95, alla Biennale Musica a Venezia nel 2003, a quattro edizioni consecutive, 2007-2010, del festival sardo di Sant’Anna Arresi, fino a Macerata e Catania nel 2011, due delle ultime Conduction di Morris.

È IL CASO di ricordare che – in Italia come in giro per il mondo – all’interesse per il procedimento della Conduction – una pratica, sottolinea Morris – e al fascino della cifra estetica del musicista afroamericano, che variamente emergeva dal lavoro con compagini pur assai diverse tra loro (improvvisatori, formazioni classiche, musicisti tradizionali, ecc.), si aggiungeva anche l’estrema amabilità e qualità dell’uomo: per tanti appassionati, musicisti, addetti ai lavori semplicemente «Butch». E Butch Morris è stato molto caro anche a questo giornale, e ne scrisse spesso in particolare Mario Gamba, che firma un contributo nel volume; Alessandro Cassin – che ha avuto poi un ruolo importante nel sostenere la pubblicazione dell’edizione americana del libro, uscita nel 2017, e poi di questa edizione italiana – da collaboratore del manifesto nel 2008 intervistò Morris da New York, alla vigilia di una Conduction romana. Morris – ricorda Daniela Veronesi – desiderava «onorare l’interesse del nostro paese nei suoi confronti con un’edizione italiana del suo manuale, che idealmente, per Butch, avrebbe dovuto persino precedere l’edizione originale».

Come potevo scrivere musica, portarla a 5mila miglia di distanza e renderla non solo fedele a ciò che avevo scritto, ma anche rilevante per il contesto?Butch Morris
L’arte della Conduction si offre appunto come un vero e proprio manuale, che illustra il «lessico» messo a punto da Morris per guidare l’improvvisazione di un ensemble, un codice di segni e gesti articolato e di una certa complessità: ciascuna delle «istruzioni» è rappresentata con disegni e spiegata, e in più le fotografie di Luciano Rossetti e di Massimo Golfieri che scandiscono il volume ci restituiscono la suggestione della carismatica direzione di Morris. Il libro costituisce dunque l’approdo postumo della preoccupazione che Morris ha avuto fino all’ultimo di mettere a disposizione di direttori, compositori, strumentisti, didatti uno strumento utile per la pratica della performance e l’educazione musicale.

MA CON L’arte della Conduction Morris non ci consegna unicamente una tecnica: non solo chi cercherà di declinare il suo lessico, ma anche il semplice lettore troverà nelle premesse al «vocabolario» e negli appunti che lo seguono una quantità di formidabili riflessioni che riguardano la dimensione della Conduction, ma che toccano più in generale il senso e le sfide del fare musica oggi. Per Morris la Conduction – in cui il direttore si incarica, in tempo reale, della struttura e della forma, e gli strumentisti scelgono il contenuto – «crea un ponte molto interessante tra notazione e improvvisazione, perché permette di individuare e sfruttare forze e debolezze di entrambe e, contemporaneamente, di tracciarne i limiti di fondo». In Morris è vivissima l’idea di un’opera che, con una forte responsabilità del direttore, si crea nel presente, con degli specifici attori, e in un contesto determinato: «Creare una Conduction significa misurarsi con l’arte dell’ ‘includere’: organizzare persone, cose, circostanze e influenze che interagiscono all’interno dell’opera o intorno ad essa»; «Come potevo scrivere musica un giorno, portarla a 5mila miglia di distanza e renderla non solo fedele a ciò che avevo scritto, ma anche rilevante per il contesto in cui sarebbe stata eseguita? Per me, né la notazione né l’improvvisazione prese separatamente potevano soddisfare questa richiesta». Ma la pratica della Conduction esalta anche, da vari punti di vista, la responsabilità dello strumentista: «Il lessico della Conduction è più descrittivo che prescrittivo: non serve a porre limiti, quanto a esplorare i confini. Le istruzioni sono effettivamente di natura interrogativa poiché chiedono allo strumentista: ‘Come suona questa cosa, in questa situazione, in questo momento?’, ‘Quale contenuto scegli di mettere in questo contesto?’». E Morris vede anche che «liberati dalla tendenza ad attribuire alla musica valori di stile e di tradizione, otteniamo un riflesso del tipo di relazioni presenti nella società e costruiamo una musica che le può mettere in discussione e trasformare; si crea quindi una comunità che, come un microcosmo, vive nella pienezza del suo contenuto metaforico».

SI POTREBBE continuare a lungo, e c’è di che rimpiangere di non poter più confrontarsi di persona con il pensiero di Morris. Che ad un certo punto lasciò la cornetta per la bacchetta di direttore: ma senza nessun complesso di inferiorità, senza prendere le distanze dal mondo da cui proveniva. A Cassin rispose: «Sono un musicista jazz, questa è la mia origine. La musica che faccio con la Conduction dipende dai partecipanti. (…) Non suono uno stile, suono musica». Nelle prime righe della premessa al lessico, che si leggono con emozione, impiega persino la vecchia parola «swing»: «Il blues, il jazz e il gospel hanno portato la musica nordamericana del ventesimo secolo da un estremo all’altro e continuano a farlo, generando altre musiche e reinventandosi periodicamente. Eppure, malgrado i cambiamenti, questa musica è ancora uno strumento di espressione individuale e di interazione collettiva con un proprio spirito caratteristico: lo swing – o piuttosto, l’essenza dello swing. Composta da diversi elementi – intuizione, spontaneità, propulsione/slancio (un senso di continuità), combustione, accensione, interazione, trasmissione comunicazione – questa essenza è stata definita ‘la dimensione extra’. I principi base della Conduction sono saldamente radicati nel cuore di questa dimensione extra».

 

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BIOGRAFIA

Nato nel febbraio del 1947 a Long Beach, California, Lawrence Douglas «Butch» Morris comincia a suonare la tromba a scuola, a quattordici anni; accanto ha l’esempio del fratello Wilber (1937-2002), contrabbassista, che si affermerà nell’ambito del jazz più avanzato. Morris muove i primi passi sulla scena jazzistica di Los Angeles; figlio di un ufficiale di marina, nel ‘66 però si arruola, e nei tre anni sotto le armi presta servizio in Germania, in Vietnam (come infermiere) e a Okinawa. Cruciale per Morris il magistero del pianista Horace Tapscott, straordinario guru dell’avanguardia losangelina e leader della Pan Afrikan Peoples Arkestra; con la Ark Tapscott fra l’altro impiega anche segnali per modificare la musica in presa diretta.

CON UN PIÙ AMPIO sistema di segnali Morris, che intanto passa alla cornetta, si trova ad avere a che fare nei primi anni settanta, sempre in California, nel gruppo del batterista Charles Moffett (già con Ornette Coleman), che fa a meno di partiture. Morris stringe una profonda amicizia con il sassofonista David Murray, che milita nella Ark e che emergerà come uno dei grandi protagonisti del jazz di ricerca degli ultimi decenni del Novecento: in quartetto, quintetto, ottetto, a cavallo fra anni settanta e ottanta Morris è a fianco di Murray in notevoli album, registrati per lo più per etichette europee. Nella prima metà degli ottanta Morris comincia ad apparire come «conductor» in album del violinista Billy Bang (altro reduce del Vietnam), e funge da compositore, arrangiatore, direttore musicale per la big band di Murray che si esibisce in locali newyorkesi. Nel 1985, a The Kitchen, a New York, Morris presenta la prima Conduction, alla guida di un tentetto (con fra gli altri John Zorn): il titolo, non banale, è Current Trends in Racism in Modern America.

Morris continuerà ad esibirsi e ad incidere come strumentista con vari partner e per diverse etichette fin negli anni novanta, per poi consacrarsi in maniera esclusiva alla Conduction. Malato, Butch Morris è mancato prematuramente nel gennaio 2013. La prima Conduction è diventata un album della Sound Aspects; diverse – come si può vedere nella discografia alla fine di L’arte della Conduction – le Conduction realizzate nel nostro paese che si sono poi tradotte in album.

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