Davanti alla Camera, e poi in una informativa al Senato, ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha cercato di spiegare il suo programma economico, soprattutto in vista del Consiglio d’Europa che si svolgerà oggi e domani a Bruxelles. Emerge sempre di più il «protagonismo» del deficit nel rebus per le coperture dei 10 miliardi (in realtà 6,7, visto che un quarto di anno è già andato) da reperire entro il 27 maggio, data in cui dovranno cominciare a essere erogati in busta paga. Il premier ha parlato infatti ampiamente del 3%, cosa che aveva fatto già a Berlino, lunedì con Angela Merkel, e poi due sere fa alla presentazione del libro di Massimo D’Alema.

Certo, una parte delle risorse verrà presa anche dalla spending, ma su quella ancora si deve decidere cosa tagliare e dove, scegliendo dal lungo elenco fornito da Carlo Cottarelli. Intanto però, è praticamente certo che al momento l’intenzione del governo è di attingere ampiamente al deficit: «È oggettivamente un parametro anacronistico», ha detto il premier riferendosi al parametro del 3%, ma per l’Italia «non ci sarà nessuno sforamento». «Quel che in queste ore sfugge – ha continuato – non è la discussione su 3% o meno: quel che è necessario non è lo sforamento ma il rispetto del 3% con una modifica, vedremo se possibile, dal 2,6% al 3%».

Concetti ribaditi al Senato: «Noi non intendiamo sforare il limite del 3% – ha detto Renzi – e lo diciamo consapevoli che altri, questo limite, lo stanno ampiamente oltrepassando, a partire da paesi di grande importanza come la Francia che è oltre il 4%. Noi abbiamo ampiamente le carte in regola».

Insomma, seppure il messaggio alla vigilia del Consiglio d’Europa sia quello già portato a Berlino, ovvero che l’Italia non sforerà mai quel limite, dall’altro lato il presidente del consiglio preme però l’acceleratore su una flessibilità dell’uso del margine dal 2,6% al 3%, peraltro per nulla scontata. Per utilizzare quegli 0,4 punti, pari a 6,4 miliardi di euro (da soli coprirebbero quasi tutto il taglio dell’Irpef), servono infatti un’autorizzazione dell’Europa e un passaggio per il Parlamento: insomma, Renzi sarà bravo e veloce a fare tutto da solo, ma per sforare il deficit deve giocare in squadra.

D’altronde, va anche segnalato il significato politico della parola «anacronistico» riferita al parametro del 3%, che aggiunta all’impulso dato da D’Alema (in predicato per diventare commissario europeo), il quale aveva parlato di «un’Italia che non viola le regole, ma che sia abbastanza forte per cambiarle», si comprende bene che Renzi voglia fare campagna il più possibile per rendere quel limite il meno vincolante possibile. E, chissà, magari essendo pronto anche a sforarlo, ma più avanti: magari quando (e se) sarà rafforzato dalle elezioni europee.

E la spending? Sul tavolo ci sono anche quei soldi, infatti Renzi ieri ha replicato per l’ennesima volta a chi gli obietta di mancare di coperture, che le risorse ci sono: «Al di là della spending abbiamo margini anche nei conti pubblici e dentro la finanza che illustreremo con il Def», ha spiegato. La revisione della spesa dovrebbe portare da 3 a 5 miliardi di euro, a seconda dei tagli che si vorranno fare, aveva spiegato Cottarelli: il problema però è capire se tutte le voci possano finanziare immediatamente il 2014.

Sulla spending review, ha spiegato Renzi, «stiamo facendo una analisi politica: il commissario ci ha fatto l’elenco e ora tocca a noi, i politici eletti, individuare dove tagliare. Ci presenteremo in Parlamento con le voci dove vogliamo intervenire e dove no». Insomma, è la politica che sceglie: come dire che su statali o pensioni, i temi più caldi, è ancora tutto aperto: «È del tutto ovvio – ha aggiunto il premier – che le scelte le fa la politica. L’analisi tecnica è una cosa, ma poi le decisioni le fa chi è eletto. Altrimenti sarebbe come se in una famiglia il commercialista decidesse se si taglia la scuola di musica o si risparmia sulla spesa della quarta settimana».

Ieri i sindacati del pubblico impiego hanno visto la ministra della Pubblica amministrazione Marianna Madia, chiedendo di ripensare il piano degli 85 mila esuberi, e di aprire dei tavoli. Tavolo che attendono anche i pensionati. Camusso è tornata a criticare la spending: «Sta nella vecchia logica dei tagli lineari e nella compressione dell’occupazione, è un ritorno alla logica recessiva».