Confermato il disastro ambientale. Confermato l’avvelenamento delle falde. «E ora che sulla questione c’è il “sigillo” della magistratura, non sono più accettabili tentennamenti». È perentorio il sindaco di Bussi sul Tirino (Pescara), Salvatore Lagatta, di Rifondazione, al secondo mandato, rieletto da pochi mesi. «Si proceda alla bonifica dei siti contaminati». Il Comune, dopo varie non risposte incamerate, dopo richieste di incontro ignorate a Roma, ha scelto di procedere con il valzer delle carte bollate. Con una lettera, l’ennesima, inviata al ministero dell’Ambiente, ma anche alla Procura di Pescara. E con un ricorso al Tar in via di definizione.

«ABBIAMO DATO mandato all’avvocato Annamaria Bello – aggiunge il primo cittadino – di mettere in campo le azioni necessarie a tutela di questo territorio». Che da anni è alle prese con «una situazione di emergenza e precarietà, sia sotto il profilo ambientale, sia sotto quello economico e sociale», come viene fatto presente in una nota inviata, l’11 luglio scorso, al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. Ad una «drammatica opera di deindustrializzazione» – viene spiegato – si sono aggiunte le discariche in cui a lungo «sono state interrate sostanze tossiche e nocive, altamente inquinanti, residui di produzioni chimiche tra le più pericolose».

Le discariche sono la Tre Monti, di 3,3 ettari, infarcita di circa 130mila metri cubi di materiali cancerogeni e tossici, e quelle denominate 2a ( di circa 12mila metri quadrati) e 2b (di 8mila metri quadrati), collocate ai piedi del paese e «in cui sono stati smaltiti rifiuti diversi da quelli autorizzati» dalla Regione tra il 1983 e l’’88. Inoltre, come spiega la Provincia di Pescara nell’ordinanza del 26 giugno 2018, attorno a queste ultime, «per circa 35mila metri quadrati, sono stati depositati in modo incontrollato ingenti quantitativi» di rifiuti. E poi c’è un’altra area «utilizzata per stoccare materiale bellico chimico aggressivo (ex pirite) prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale e, successivamente, le peci clorurate pesanti provenienti dal Reparto clorometani unitamente ai rifiuti tossici e nocivi del Reparto clorosoda».

Reparti produttivi del colosso chimico Montedison, in seguito divenuta Edison, che qui ha iniziato l’attività nel 1904 e che a lungo ha fatto la fortuna di questo lembo d’Abruzzo, ma che, a quanto risulta, ha disseminato fior di veleni: arsenico, cromo esavalente, rame e zinco, mercurio, piombo, boro, idrocarburi, composti che causano tumori; e ancora, tetracloruro di carbonio, esacloroetano, tricloroetilene, diclorobromometano… «Sostanze accertate nel suolo e sottosuolo e nelle falde e riconducibili ai residui del ciclo dello stabilimento».

TUTTE LE AREE SONO ENTRATE nel Sin (Sito di bonifica di interesse nazionale). Ma anche nel processo che la Cassazione ha concluso con sentenza del 28 settembre scorso e le cui motivazioni sono note da qualche giorno. I reati contestati ai 10 imputati, in larga parte ex manager di aziende riconducibili al gruppo Montedison, sono prescritti: questo hanno stabilito i giudici, con conseguenti assoluzioni. Ma è stata accolta la tesi, sostenuta da accusa e parti civili, in base alla quale la zona del polo chimico di Bussi, a partire dagli anni Sessanta, fu trasformata in una mega discarica, generando quella che è stata definita la più grave catastrofe ambientale d’Europa.

Disastro che la Cassazione descrive come «accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità di un numero collettivamente non individuabile di persone». La Corte, nel dispositivo, evidenzia leggi violate, terreni e acquiferi contaminati, condotte omissive, rischi minimizzati. «Quindi – rileva l’avvocato dello Stato, Cristina Gerardis – afferma la commissione dei reati. Gli imputati possono trincerarsi dietro la prescrizione, ma adesso l’Abruzzo può contare su uno strumento efficacissimo per pretendere, da chi ha inquinato, la bonifica di quelle aree». «È stato riconosciuto il disastro – riprende Lagatta – pur se i vecchietti sotto accusa, la maggior parte ha tra i 70 e gli 80 anni e anche oltre, sono usciti indenni dal giudizio». Il verdetto afferma le responsabilità «storiche» di Montedison. Individuate non solo dalla Suprema Corte, ma anche da un’accurata indagine affidata dal ministero dell’Ambiente alla stessa Provincia di Pescara. Ma Edison non ci sta e ha inoltrato ricorso al Tar.

La questione, al momento, sta proprio nel risanamento dei siti. Per quanto concerne il deposito Tre Monti, dopo il piano di caratterizzazione attuato dal commissario Adriano Goio, con capping e installazione di piezometri, il 6 agosto scorso, con decreto ministeriale, è stato approvato il progetto di Edison. Che dovrà rimuovere 112mila metri cubi di materiali interrati. E dovrà procedere ad altri interventi, per un costo complessivo che si aggira intorno ai 40 milioni.

E per le discariche 2A e 2B? Il ministero, già con provvedimento del 9 settembre 2013, protocollo 47512, diffidava Edison Spa a rimuovere i rifiuti e a ripristinare lo stato dei luoghi. Ma di tali operazioni non c’è traccia. «Su esplicita richiesta del ministero dell’Ambiente – racconta Lagatta – e con conseguente specifico accordo di programma, il Comune di Bussi, il 24 maggio 2017, ha acquistato per un euro le aree inquinate, divenendone proprietario, e ciò al fine di rendere possibile l’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche disponibili». Ossia circa 45.970 milioni, che «chi ha inquinato dovrà poi ridare allo Stato».

NEL FEBBRAIO 2018 è stato definitivamente aggiudicato l’appalto per la bonifica. Il 7 giugno, il Comune, «atteso che la bonifica è di primario interesse pubblico», ha diffidato il ministero a dare inizio «entro 30 giorni, all’esecuzione degli interventi in osservanza dell’accordo sottoscritto». A propria volta il ministero «ha inviato al Rup (Responsabile unico del procedimento), Enrico Bentivoglio, un atto di diffida…». «In un incontro del 6 luglio scorso al ministero dell’Ambiente – spiega Lagatta – ho appreso che a tutt’oggi non c’è un quadro economico, non esiste una relazione sullo stato di avanzamento delle attività; non è ancora stato nominato il direttore dei lavori; non è stato sottoscritto il contratto con la società aggiudicataria; non è avvenuto il trasferimento delle risorse disponibili nella contabilità speciale. È tutto bloccato. Per quale misteriosa ragione?» Dal ministero stallo e silenzio, da qui la decisione di adire le vie legali.

«Ritardi inspiegabili – rincara il sindaco – che rischiano compromettere anche le possibilità di rilancio, turistiche e occupazionali. Dato che ad esempio un’azienda, la Filippi Pharma, è intenzionata a investire, creando tra i 150 e 180 posti di lavoro». Era il 12 marzo 2007, quando la forestale portò alla luce la discarica Tre Monti. Poi vennero scoperte le altre. «Noi resistiamo, ma dopo 11 anni, – chiude Lagatta – non ne possiamo più di questa storia, che ha fatto assurgere il paese ai disonori della cronaca. Acceleri le procedure il ministro dell’Ambiente, che al suo arrivo si è presentato come l’uomo delle bonifiche… In nome del popolo inquinato, si avvii la bonifica».