Fu un’intervista alla radio della BBC a stimolare Rosemary Nalden, violinista britannica, oggi settantaquattrenne, nel lontano 1992 a dare il via a un progetto che ormai esiste da oltre vent’anni: il Buskaid Soweto String Project. Fondata come associazione senza scopo di lucro, inizialmente voleva semplicemente creare un evento per accumulare fondi a favore di un gruppo di giovani violinisti motivati e appassionati di Diepkloof nel Soweto. Poi, su richiesta delle comunità locali, la violinista e direttrice d’orchestra, mise in piedi un ampio progetto didattico partito nel gennaio 1997, da cui è sorto tra l’altro il Buskaid Soweto String Ensemble – ormai di livello internazionale – che si è esibito con ben diciassette componenti lo scorso 31 maggio a Merano per Sonora 701Black Music Festival, diretto da Marcello Fera. Lui stesso musicista e compositore, a capo di una simile orchestra composta di soli archi, il Conductus Ensemble, prese queste affinità di base, oltre al voler porre ad altezza di sguardo le differenze e non differenze culturali mettendo in parallelo schemi e strumenti musicali occidentali a fronte di influenze e sonorità africane, per farne il nucleo tematico dell’edizione 2018 del festival, tutto all’insegna della musica classica indagando la relazione Africa – Europe, come recita il sottotitolo della manifestazione.

Nello splendido scenario della chiesa del sacro cuore delle “dame inglesi”, con sfondo una navata a mosaico azzurro, si è compiuta una intrigante inter-azione culturale sul piano musical-spirituale. L’ampio repertorio suonato in modo eccelso dai giovani neri – tutti con maglietta nera targata “Buskaid” – passava dal plumbeo barocco (Jean-Philippe Rameau) al più solare Dimitri Shostakovich (Cinque pezzi per due violini), e alla seconda parte più contemporanea con songs di Nina Simone e brani di Township Kwela & Gospel arrangiati per l’esecuzione con strumenti ad archi. Puntiamo l’attenzione su questo aspetto perché era molto interessante osservare come la solenne ma rigorosa atmosfera creata sulla base delle sonorità che noi intendiamo per “classiche” tipicamente europee e non (basti citare l’emozionante brano And birds are still del giapponese Takashi Yoshimatsu), andava piano piano sciogliendosi nel passaggio altrettanto rigoroso sul piano musicale dei song di Nina Simone cantati con insolita maestria da Mathapelo Sylvia Matabane, tanto da far vibrare persino le mura della chiesa. Per poi far esplodere le partiture dettate dai ritmi africani in un gioioso tutt’uno tra strumenti, corpi, volti, percussioni e pubblico. Non poteva mancare una standing ovation finale!

Ancora due parole sul progetto, il cui obiettivo è offrire l’opportunità a tutti i bimbi delle township, soprattutto di famiglie svantaggiate, di incanalare le loro energie creative nell’apprendimento di uno strumento musicale (attualmente sono oltre cento gli allievi tra sei e trentaquattro anni), continuare l’attività didattica e fondare un laboratorio per futuri liutai. Insomma, creare cultura per creare lavoro. Un modello da seguire anche nella nostra Italia? Per maggiori informazioni www.buskaid.org.za