Buscaglione fra visioni e fantasmi
A teatro Al festival delle colline torinesi tra sorprese e progetti, come il rutilante show dei Fanny & Alexander sull'artista mito piemontese e la nuova creazione di Marco Baliani
A teatro Al festival delle colline torinesi tra sorprese e progetti, come il rutilante show dei Fanny & Alexander sull'artista mito piemontese e la nuova creazione di Marco Baliani
Sorprese e progetti costituiscono da sempre il patrimonio del Festival delle colline torinesi, che quest’anno festeggia la sua ventesima edizione. La formula vincente qui è la scelta di mettere inieme spettacoli di linguaggio e codici diversi, purché abbiano una propria vitalità. Così che anche uno spettacolo non riuscito o con qualche limite evidente, può costituire un presagio di strada ventura, aprire squarci che potrebbero dimostrarsi interessanti o promettenti, tanto più in un momento generale, se non di ristagno, certo di poco coraggio sulle scene italiane, grazie ai condizionamenti burocratici macchinosi e alle previsioni fosche che gravano già oggi su questo settore artistico.
Alle Colline invece, con l’aiuto anche di un pubblico avvertito e consolidato che dà immediatamente il «polso» di certe situazioni, le traiettorie e le direzioni risaltano immediatamente. Così, al di là, del successo e degli entusiasmi che ha suscitato per il proprio personale carisma, è apparsa molto interessante la scelta di Marco Baliani col suo nuovo spettacolo, prodotto da Marche teatro. Si può ancora parlare di un genere di cui egli fu tra gli inventori, il «teatro di narrazione», perché di un racconto si tratta e portato avanti dalla sola sua voce, ma in realtà è il dispositivo spettacolare a catturare lo spettatore, quasi risucchiato in quella scatola in cui l’attore si muove, fatta di rigide e incolori pareti di confine, recintata e riempita e resa vivente e pulsante da una ragnatela di parole, suoni, rumori, boati d’artiglieria, arditi (e magari «sgradevoli») particolari scatologici, brani musicali originali (composti da Mirto Baliani, mentre Maria Maglietta firma la regia) e almeno un paio di popolari citazioni operistiche verdiane da Traviata e Nabucco. È questo e molto altro Trincea, spettacolo che pure nasce quasi «d’occasione» dal centenario della prima guerra mondiale (come se ne vanno affollando in questo periodo), e invece svela un meccanismo drammaturgico e scenico in grado di progettare, o almeno prefigurare, possibilità future di esperienza teatrale.
Più legata a linguaggi e modalità della tradizione (anche corrente) risulta invece la versione che Valter Malosti ha preparato del Giro di vite, capolavoro di suspence di Henry James: non solo il suo titolo forse più popolare, ma in qualche modo un prototipo di genere. Il regista (che interviene anche come voce recitante) ha scelto con la sua protagonista Irene Ivaldi toni quasi «espressionistici», che calcano l’insorgere di quei fantasmi nella casa dove l’istitutrice è stata chiamata a badare ai bambini abbandonati, prima dai loro genitori e poi anche dai servitori che quelli avevano lasciato loro come custodi. Davanti al sussiego dell’istitutrice senza nome, la vocina infantile distorta dal microfono, può rischiare l’effetto cartoon, o L’esorcista che sia. Ma forse è solo un pregiudizio questo da superare, per chi è affezionato alla semplicità evocativa con cui Britten ha messo in musica quella favola nera, e alla grande Kabivanska che qualche anno fa ce la cantò.
Il colpo di scena vero alle Colline però, in attesa di altre presenze importanti a partire da oggi (i fantasmi shakespeariani di Alfonso Santagata,il fantasma materno pasoliniano di Latella, gli sfrenati fantasmi edipici delle berlinesi She She Pop) sono stati capaci di darcelo i Fanny & Alexander, che i mai erano stati divertenti e spiritosi come in questa occasione, in cui hanno riportato in vita un celebre mito dei nostri «anni d’oro», Fred Buscaglione. E a Torino hanno voluto farlo nel luogo dove lui a suo tempo cantava, e strologava e straparlava, ironico e partecipe, di tante altre mitologie che dall’America ci apparivano allora salvifiche, e adatte al botto incombente del boom. È irresistibile uno dei componenti del gruppo, Marco Cavalcoli, nel ricreare le smorfie e i tic del geniale Fred, e condurci con sicumera tra le parole del suo, davvero geniale, paroliere Leo Chiosso.
Il tutto nel vero dancing dove Buscaglione si esibiva, oggi Le roi Music Hall dell’architetto Molino, allora Lutrario, con un complesso (i Bluemotion) che cita gli originali Asternovas, e il pubblico se li gode dai divanetti di similpelle davanti ai tavolini dove campeggiano gin tonic e al massimo delle birre. Tra quei lustrini multicolori, e lampade arcobalenanti, Chiara Lagani (che ne è autrice assieme a Luigi De Angelis), in gran tiro, segue il maestro e offre da bere agli spettatori da coinvolgere gaudenti.ù
Uno spaccato veritiero e profondo del nostropaese e delle nostre illusioni, non solo di allora. Nel quale molti politici, anche di oggi , potrebbero specchiarsi in un barlume di coscienza. Anche se il gruppo, nei fogli di presentazione, minaccia di trasformare il lavoro in una ricerca sull’economia verde. Mentre è già così divertente, e istruttivo, allacciarsi e incespicare nel Kriminal tango, belli pupi fior del fango…
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