Un golpe fantoccio quello tentato e fallito in Burundi che rischia addirittura di giovare al presidente uscente Pierre Nkurunziza. Con la polizia per le strade che, secondo quanto hanno raccontato alla Reuters alcuni testimoni, dà la caccia ai manifestanti ora non più considerati tali ma dei «ribelli».

Venerdì mattina il generale ed ex capo dei servizi segreti Godefroid Niyombare, leader della rivolta contro il presidente Nkurunziza, si è arreso ed è stato arrestato dalle forze lealiste dopo aver tentato la fuga: «Abbiamo deciso di arrenderci. Spero che non ci uccideranno».

Insieme a lui sono stati arrestati anche il portavoce dei golpisti, il commissario di polizia Vénon Ndabaneze e il generale Cyrille Ndayirukiye che già nella serata di giovedì aveva riconosciuto il fallimento del tentativo di golpeo: «Personalmente, lo ammetto, il nostro movimento ha fallito. Abbiamo incontrato una grandissima determinazione militare a sostegno del sistema di potere».

Nel pomeriggio, Nkurunziza (che mercoledì all’annuncio della sua destituzione si trovava in Tanzania per il summit della Communauté des États d’Afrique de l’Est (Eac) sulla crisi in Burundi) ha fatto ritorno nel palazzo presidenziale della capitale Bujumbura. Ad accoglierlo, lungo le carreggiate delle strade, in molti, esultanti e sventolanti bandiere. Due giorni prima, altri burundesi erano scesi in piazza per festeggiare la sua destituzione.

La situazione resta tesa, con le associazioni e organizzazioni non governative che hanno rinnovato l’appello a scendere in piazza contro la candidatura di Nkurunziza alle prossime presidenziali: «Le proteste per respingere il tentativo di un terzo mandato del presidente uscente continueranno. Il nostro movimento non ha nulla a che fare con il tentato colpo di stato», ha dichiarato Pacifique Nininahazwe del Forum pour la conscience et le développement (una delle 300 principali ong della società civile in Burundi che hanno sostenuto le proteste).

Dopo 48 ore di lotta intestina tra due ali rivali dell’esercito per la presa del potere, il Burundi si ritrova ancora a vivere ore di tensione e di violenza per le strade. I residenti di Butarere, un quartiere di Bujumbura e uno dei focolai delle proteste anti-terzo mandato di Nkurunziza cominciate a fine aprile, raccontano di un uomo ucciso dalla polizia con un colpo alla testa e di altri due feriti. Secondo quanto riportato dal Capo di Stato Maggiore Prime Niyongabo, tra i soldati che hanno appoggiato il tentativo di colpo di stato sarebbero 12 quelli rimasti uccisi durante i violenti combattimenti di giovedì tra lealisti e golpisti per prendere il controllo della radio di stato, 35 quelli feriti e 40 quelli che si sono arresi.

Ancor prima del tentato colpo di stato di mercoledì, alcuni funzionari avevano già definito le proteste «un’insurrezione» contro Nkurunziza. Al centro delle manifestazioni la decisione annunciata dal presidente di scendere in lizza alle prossime elezioni per ottenere il terzo mandato, contrariamente a quanto prevede la carta costituzionale del Paese. Severe le critiche nelle scorse settimane di molti leader africani e donatori occidentali – tra cui gli Stati Uniti che forniscono formazione e attrezzature all’esercito e che ieri ha chiuso l’ambasciata in Burundi – contro la candidatura di Nkurunziza e il giro di vite della polizia contro i civili.

Dall’inizio delle proteste sarebbero circa 25 le vitttime tra la popolazione, mentre in totale sarebbero più di 105 mila le persone fuggite dal Burundi (che conta circa 10,4 milioni di abitanti ed è il secondo Paese più povero al mondo) negli Stati limitrofi tra cui Tanzania (70.187 ), Rwanda (26.300) e provincia del South Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (9.183). Secondo quanto riportato dal portavoce dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unchr), Karin de Gruijl, nella conferenza stampa di venerdì a Ginevra, circa 50.000 burundesi – «forse anche di più» – vivrebbero attualmente sulle rive del Lago Tanganica.