A regnare in queste ore in Burundi è il caos istituzionale dopo la destituzione del Presidente uscente Pierre Nkurunziza, annunciata dal generale ed ex capo dei servizi segreti Godefroid Niyombare. Mentre scriviamo, non è ancora chiaro se si sia trattato di un colpo di stato riuscito o solo tentato. La destituzione di Nkurunziza è stata annunciata alla stampa dal generale Niyombare in una caserma della capitale Bujumbura e trasmesso dalla radio privata Insaganiro: «Il presidente è stato rimosso dal suo incarico, il governo è sciolto.

È istituito un comitato temporaneo per il ripristino dell’armonia nazionale la cui missione, tra le altre, sarà quella di ripristinare l’unità nazionale e la ripresa del processo elettorale in un clima pacifico e giusto».

Da Dar er Salaam in Tanzania – dove era in corso un summit regionale sulla crisi in Burundi – il presidente Nkurunziza ha condannato il tentativo di destituzione dichiarandolo fallito.

«Lo consideriamo un gioco e non un colpo di Stato militare» è stato il commento del collaboratore presidenziale Willy Niyamitwe.

L’azione dei militari arriva dopo settimane di violente proteste contro la decisione di Nkurunziza di candidarsi per il terzo mandato quinquennale alle presidenziali del prossimo giugno. Candidatura del tutto contraria alle disposizioni della Costituzione e degli accordi di pace di Arusha che posero fine a una guerra civile (durata 12 anni tra i ribelli della maggioranza etnica Hutu e l’esercito allora guidato dai Tutsi) che ha fatto circa 300 mila vittime.

Il generale Niyombare, che è stato anche ex ambasciatore in Kenya, starebbe già in contatto con i gruppi della società civile, leader religiosi e politici per la formazione di un governo di transizione. Anche se a questo riguardo, contattato da Jeune Afrique, Pacifique Nininahazwe – uno dei leader della campagna anti-terzo mandato di Pierre Nkurunziza – ha dichiarato che «la società civile in Burundi non ha ancora preso una posizione ufficiale» sulla destituzione annunciata del presidente uscente: «È molto presto» ha spiegato il presidente del Forum pour la conscience et le développement (Focode). Non è altresì chiaro chi abbia il controllo della situazione.

Testimoni riportano l’emittente di Stato circondata dall’esercito; alcuni soldati avrebbero tentato l’irruzione all’interno, mentre altri avrebbero fatto resistenza. Sporadica la presenza della polizia, considerata fedele al partito di Nkurunziza. Sarebbero più di 20 le persone rimaste uccise durante le proteste di piazza scoppiate più di due settimane fa e più di 50.000 quelle fuggite nei paesi limitrofi. Secondo i dati del ministero degli affari interni della Tanzania, 11.000 rifugiati burundesi, tra cui più di 8.000 donne e bambini, si sarebbero riversate nella Tanzania occidentale sconvolgendo la capacità delle organizzazioni umanitarie locali e internazionali.

Si consideri che la Tanzania, sede di una delle più grandi popolazioni di rifugiati in Africa, accoglie centinaia di migliaia di burundesi e congolesi e ha in programma di concedere la cittadinanza a 200.000 rifugiati del Burundi. Secondo l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unchr) la crisi odierna si starebbe indirizzando verso uno «scenario peggiore» che potrebbe portare a ben 300.000 le persone in fuga.

Intanto, l’Unione Africana e i donatori occidentali, compresi Usa e Ue hanno criticato la decisione di Nkurunziza di correre per il terzo mandato presidenziale mentre il Belgio, ex potenza coloniale in Burundi, e l’Ue hanno già dichiarato di voler sospendere parte degli aiuti a causa delle recenti ondate di violenze. Da Pretoria, il Ministero degli Esteri del Sudafrica ha reso noto di monitorare la situazione in Burundi da vicino, ma che è ancora troppo presto per stabilire se si tratti o no di un colpo di stato.