A chi avremmo lasciato il compito di svolgere il lavoro culturale» si chiede il personaggio protagonista del romanzo, dopo avere raccontato la vita impossibile sua e dei suoi coinquilini: tutti giovani di talento, animati da una grande passione per la fotografia, sfruttati e angariati dall’establishment culturale.
Il libro di Simona Guerra La vita è ancora agra, signor Bianciardi (edito da Progetti In-Contra, fotografie di Massimiliano Tursi, pp. 120, euro 18) è un pamphlet contro il mal costume dominante in Italia, in cui a decidere se realizzare o meno un evento culturale non sono le persone davvero competenti per farlo, ma burocrati, nel migliore dei casi, o politici che ricoprono un ruolo per il quale non sono affatto preparati. A pagarne le spese sono coloro che credono in ciò che fanno, che amano il lavoro artistico, che vi dedicano l’esistenza.

In questo testo, il settore culturale in questione è la fotografia e il racconto ruota attorno a gallerie d’arte e mostre fotografiche. Più che altro si svolge a partire dalla rabbia del personaggio protagonista a cui è stata rubata un’idea: «Il furto di idee è un reato? Sì, se si riesce a dimostrarlo». All’interno di dinamiche di potere ingiuste il protagonista non può dimostrare l’evidenza del torto subito, che come spesso accade rimane la sua unica compagnia nella solitudine più assoluta in cui si ritrova, da vittima di un’ingiustizia. Allora, come il personaggio del romanzo di Luciano Bianciardi, La vita è agra, immagina una vendetta.

Come scrive l’autrice nella nota finale, la storia narra il tentativo di tenere viva la eco di quella denuncia, di tendere la mano a quel 1962, anno della pubblicazione del romanzo di Bianciardi, per ribadire che da allora in Italia non è cambiato nulla. Per dirlo, l’autrice ha scelto di creare dei personaggi come un mazzo di tarocchi, in cui ognuno è un simbolo: la stagista a cui non viene rinnovato il contratto, il suo fidanzato straniero che ama l’Italia per quanto è bella, ma non può comprenderne il fallimento profondo, un padre separato che ha grosse difficoltà a vedere la figlia e a pagare gli alimenti. C’è anche una sorta di maestro gentile, Italo, che crede nel coraggio della lotta quotidiana contro la bruttezza e il malcostume.

Il risultato è catartico in modo inaspettato: a fare giustizia ci penserà la natura, senza che nulla nel testo avrebbe potuto farlo presagire. In questa sorpresa si resta interdetti, forse perché il tema del romanzo è materia troppo viva e il lavoro culturale, titolo di un altro testo di Bianciardi, è in condizioni talmente drammatiche che nessun escamotage narrativo può restituire il senso che manca, la bellezza sprecata.