La stagione 2016-17 della Premier League sarà ricordata come quella della restaurazione, del dominio dei club più ricchi e famosi dopo il rivoluzionario e inaspettato successo del Leicester guidato da sor Claudio Ranieri. Alla sommità della classifica troneggia il Chelsea allenato da un altro italiano, Antonio Conte, poi via via le solite note, con i campioni uscenti solo dodicesimi e senza più il defenestrato allenatore romano. Ormai è un dato incontestabile, nei principali campionati europei vincono sempre le stesse, anzi in Inghilterra almeno si possono godere un po’ di equilibrio in più tra le big, altrove nemmeno quello. L’impresa del Leicester rimarrà a lungo una piacevole eccezione, temiamo, e le piccole si dovranno accontentare delle briciole. Almeno in termini di risultati sportivi, perché sugli introiti il discorso cambia.

Tra i paria del massimo campionato inglese spicca senza dubbio il Burnley, che abbiamo scelto di vedere dal vivo in occasione dell’ultimo match dell’annata.

A un tiro di schioppo da Manchester, questa città nel cuore del Lancashire è stata uno dei cuori pulsanti della rivoluzione industriale. Oltre due secoli fa nell’arco di poco tempo la popolazione passò da 10mila a 100mila unità, mentre spuntavano come funghi le ciminiere delle aziende tessili che ammorbavano l’aria con i loro mefitici miasmi. Come ci raccontano le cronache dell’epoca, si lavorava tanto, a ritmi e condizioni estreme. Perché, recitava l’adagio, prima di colazione bisognava rifornire il mercato interno, dopo quello mondiale.

Il declino è stato inesorabile e reso ancora più drammatico dalle politiche da vera macelleria sociale messe in atto da Margaret Thatcher a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.

Quasi pleonastico aggiungere che Burnley è rimasta fieramente working class. Prima dell’avvento di Tony Blair da queste parti i candidati laburisti superavano facilmente il 50%. Ora i tempi sono cambiati, la delusione è tanta, così il fascista BNP (che già nel 2002 si aggiudicò a sorpresa tre seggi in consiglio comunale) e l’anti-europeo UKIP possono ormai contare su uno zoccolo duro di votanti del 15%. Non è un caso che circa due terzi dei votanti nel 2016 si sia espresso a favore della Brexit.

Non sono più centinaia come in passato, ma il panorama cittadino è ancora segnato da alcune ciminiere e dai resti delle ultime fabbriche tessili. Gli angoli da manuale d’archeologia industriale si alternano con gli austeri edifici vittoriani e con qualche tentativo di riqualificazione urbana. Ma qui è difficile parlare di vera e propria gentrificazione, perché a Burnley l’impatto di una crisi ormai ultra-decennale non accenna a diminuire.

Una cosa che conta, e tanto, da queste parti, è la squadra di calcio. L’hanno sempre seguita con immensa passione. Nel 1914 fu indetto uno sciopero per poter ammirare i giocatori che sfilavano con la Coppa d’Inghilterra appena vinta, ed erano in migliaia anche quando il Burnley ha disputato sette campionati in quarta serie oltre due lustri fa. Figuriamoci ora che, unica tra le neo-promosse, ha conservato con merito un posto in Premier.

La gara che fa calare il sipario sulla campagna 2016-17 è una specie di incontro a specchio. L’avversario è il West Ham, stessi colori e medesima origine proletaria, con l’unica significativa eccezione che la squadra che fu del grande Bobby Moore è di Londra. E tra quelli del Nord dell’Inghilterra e i cockneys non corre esattamente buon sangue.

Lo si può desumere anche da alcuni “scambi d’opinione” all’interno della casa dei Clarets, un impianto che sorge a due passi dal centro e che individui da lontano grazie agli alti piloni dell’illuminazione, come tutti gli stadi storici che si rispettino. Quelli nuovi ormai trovano posto solo in lande desolate nelle estreme periferie cittadine, mentre Turf Moor è a ridosso di case e pub – non manca nemmeno il miners social club, perché qui c’erano pure alcune miniere di carbone, ormai chiuse da tempo. Sopratutto, sebbene abbia ricevuto alcuni interventi di ammodernamento, ha l’impronta inconfondibile del tipico stadio inglese: forma rettangolare, tribune attaccate al campo e pochi fronzoli architettonici. Inoltre qui non sembra di essere a teatro come in altre arene d’oltre Manica, dove la mutazione genetica da tifoso a cliente sembra ormai irreversibile. Tanto per capirci, una discreta fetta di supporter assiste alla partita in piedi – cosa che in teoria sarebbe vietata – e se c’è da festeggiare un campionato di ottimo livello non ci si crea problemi a fare una (seppur contenuta) invasione di campo. Per la serie guai a sbandierare troppo il modello inglese…

Nemmeno la sconfitta rimediata nelle fasi conclusive della gara riesce a rovinare la festa e intaccare l’orgoglio dei supporter locali, che così non si lasciano sfuggire l’occasione per “dedicare un pensiero” agli eterni rivali del Blackburn. Ai Rovers la proprietà straniera, nella fattispecie indiana, ha causato effetti nefasti, culminati poche settimane fa nella retrocessione in terza serie. A Burnley la gestione societaria appare di sicuro più oculata, all’insegna della valorizzazione dei talenti inglesi pescati nelle divisioni minori o “cacciati” dalle grandi e senza azzardare acquisti di giocatori stranieri che costano tanto non sempre rendono quanto sperato. Si fa fruttare bene il fiume di denaro che garantisce la Premier League. Non sono ancora disponibili i dati definitivi per la stagione 2016-17, ma si stima che il Burnley incasserà oltre 80 milioni di euro solo dai munifici diritti tv. Per fare un raffronto, l’anno scorso le piccole delle A non hanno superato i 30 milioni. E poi il Turf Moor è quasi sempre esaurito.

Certo, comparando il monte salario tra le due big di Manchester (in totale quasi 500 milioni di euro) e quello del Burnley (circa 40) si capisce che è dura puntare a qualcosa in più della salvezza. Praticamente impossibile che si possa ripetere il successo del 1960, quando i Clarets si laurearono a sorpresa campioni d’Inghilterra con un team composto per lo più da giovani. Ora ci si accontenta di avere due giocatori nel giro della nazionale, il portiere Tom Heaton e il difensore Michael Keane. Visti i tempi non è roba da poco…