Joseph William Comyns Carr, primo direttore insieme a Charles Edward Hallé della Grosvenor Gallery di Londra, fu un appassionato sostenitore del movimento Pre-Raffaellita che, proprio nella galleria di Bond Street, fondata da Sir Coutts Lindsay e da sua moglie Blanche nel 1877, trovò inizialmente la sua ideale sede espositiva rispetto alla più classica e conservatrice Royal Academy. Alla Grosvenor Gallery si tennero le prime mostre di Edward Burne-Jones, Walter Crane, Dante Gabriel Rossetti oltre che di James McNeill Whistler e, quando nell’estate del 1888 Comyns Carr, a seguito di alcuni disaccordi con Lindsay, fondò la rivale New Gallery al numero 121 di Regent Street, fece di tutto per portare con sé proprio Burne-Jones, in quel momento all’apice della sua popolarità. Oltre ai direttori, Comyns Carr e Hallé, il comitato della New Gallery era formato dai migliori esponenti della scena artistica inglese di quegli anni fra i quali vanno ricordati Sir Lawrence Alma-Tadema, George Frederic Watts, William Holman Hunt e Alfred Parsons, quest’ultimo noto soprattutto per aver disegnato il giardino di Lamb House a Rye, nel Sussex, la dimora dove Henry James trascorse parte degli ultimi anni della sua vita scrivendo i grandiosi romanzi della cosiddetta major phase.
Omaggio alla New Gallery
Quando, pochi mesi dopo la morte di Burne-Jones avvenuta il 17 giugno 1898, venne organizzata una grande mostra antologica a lui dedicata, la sede fu quindi ovviamente la New Gallery che, pochi anni prima, nel 1892-’93, aveva già ospitato un’altra importante retrospettiva del pittore, mentre il saggio introduttivo del catalogo portava la firma proprio di Comyns Carr.
La mostra, che si tenne dal 31 dicembre 1898 all’8 aprile 1899, riuniva con poche eccezioni la quasi totalità della produzione da cavalletto del grande pittore nato a Birmingham il 28 agosto 1833 e contava più di duecento opere fra dipinti a olio, disegni e incisioni, mentre una selezione di studi preparatori e altri disegni era contemporaneamente esposta al Burlington Fine Arts Club, al numero 17 di Savile Row.
È interessante, ancora oggi, leggere il saggio di Comyns Carr che, oltre a ripercorrere l’amicizia che legava Burne-Jones a Rossetti e a evidenziarne contiguità intellettuali e scambi stilistici, si sofferma sulle radici letterarie della pittura di entrambi. Scorrendo le pagine introduttive del catalogo del 1898 troviamo infatti più volte ripetuta la frase «A picture is a painted poem», il cui senso più profondo, con uno scarto ulteriore rispetto all’oraziano ut pictura poesis, ha caratterizzato l’intera ricerca pittorica di Burne-Jones e lo ha portato a confrontarsi direttamente con i poemi di autori anche quasi suoi contemporanei.
Percorrendo le sale della mostra in corso alla Tate Britain fino al prossimo 24 febbraio, Love Among the Ruins, in parte ispirato al poema di Robert Browning del 1855, ma forse ancor più dedicato alla figura di Maria Zambaco, pittrice, musa ispiratrice e amante dello stesso Burne-Jones, è uno dei capolavori di maggiore spicco insieme al ciclo di dipinti The Briar Rose. Quest’ultimo, il cui titolo deriva dalla fiaba dei fratelli Grimm, è basato sulla storia della Bella Addormentata ed è composto da quattro grandi dipinti sui quali il pittore lavorò in maniera intermittente dal 1874 al 1890. I dipinti non riportano momenti diversi e successivi della storia, bensì ognuno di essi rappresenta, in luoghi differenti, il medesimo istante di sospensione narrato nella fiaba quando il principe irrompe in un regno in cui le figure di tutti i protagonisti sembrano sopraffatte dal sonno. Sotto ognuno dei pannelli, come per legare ancora più strettamente la pittura alla poesia, è riportato un brano di un poema di William Morris tratto dalla raccolta Poems By The Way del 1891, che al quarto dipinto, The Rose Bower, così recita: «Here lies the hoarded love, the key/ To all the treasure that shall be/ Come fated hand the gift to take/ And smite this sleeping world awake».
Proprio di questo mondo fatato e addormentato sembrano far parte anche i ritratti esposti in mostra alla Tate Britain, che ci rivelano, ovviamente, un altro aspetto di Burne-Jones, differente in confronto ai grandi dipinti mitologici o ispirati alla tradizione letteraria, più intimo, introverso e meditativo, alla ricerca della vera essenza della persona raffigurata. Tutti i ritratti di Burne-Jones sono pervasi da quella accuratezza esecutiva destinata a stemperarsi in una sorta di indeterminatezza della rappresentazione che il pittore coscientemente perseguiva, arrivando addirittura a raccomandare, per esempio, di esporre sempre i suoi quadri con un vetro davanti alla tela per donare ulteriore evanescenza alle forme. Tuttavia le sue figure sembrano perennemente immobili e distanti, avvolte in una sottile malinconia che appare senza ritorno, ragione per la quale attirarono anche non poche incomprensioni e critiche da parte di quel pubblico che vedeva le sue modelle eccessivamente caratterizzate da un alone di sofferenza e quasi di malattia. E allora, davanti ai ritratti di Madeleine Deslandes, di Amy Gaskell, della figlia Margaret e della moglie Georgiana, o alle figure di Vespertina Quies o Flamma Vestalis, per provare a comprenderli meglio, è bene leggere le parole di Henry James che, a seguito di una visita alla Grosvenor Gallery nel 1882, ricorda quanto sia «senza costrutto affermare che le sue giovani donne sono sempre ammalate, perché loro non stanno né bene né male. Vivono in un mondo diverso dal nostro: un mondo fortunato, in cui le giovani signore possono essere sottili e pallide e “logore” senza discredito e, (mi auguro), senza incomodo. Non è questione di malattia o salute; è una questione di grazia, delicatezza, tenerezza, sulle corde dell’associazione e della memoria. Il signor Burne-Jones è superbo nel toccare quelle corde».
Viaggio in Italia con Ruskin
I ritratti di Burne Jones devono molto alla cultura rinascimentale e pre-rinascimentale dell’autore e vi si possono leggere alcuni aspetti tipici del suo stile fra i quali, certamente, il suo amore per l’arte italiana del passato. I suoi viaggi in Italia erano cominciati con John Ruskin addirittura intorno al 1855 e lo studio delle opere veneziane e fiorentine del Quattro e del Cinquecento lo accompagnò per tutta la vita, così come la ricerca di testi poetici antichi e medievali e del loro simbolismo con cui confrontarsi di continuo, tanto che proprio Henry James sottolineò «quanto si potesse quasi dire che il signor Burne-Jones dipinga con la penna». Il ritratto della figlia Margaret in particolare, con il grande specchio convesso alle spalle della giovane, mostra un’evidente fonte di ispirazione nel ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck, così come Vespertina Quies sembra un omaggio alla Monna Lisa di Leonardo, mentre sullo sfondo del ritratto della moglie Georgiana, che delicatamente tiene in mano un libro con un fiore reciso nascosto fra le pagine, secondo la tradizione della ritrattistica familiare, compaiono la figlia Margaret e il figlio Philip, anch’egli (modesto) pittore.
Il mondo addormentato di Burne-Jones viene animato da un soffio di vento nell’interessante trailer della mostra, che è stata pubblicizzata utilizzando un breve filmato in cui alcuni tableaux vivants, che ricordano le opere di Bill Viola, evocano alcune delle opere esposte esaltandone maggiormente la malinconica visionarietà.
Non solo nei ritratti ma in tutta la sua pittura Burne-Jones crea un mondo lontano nel tempo, certamente immobile e malinconico, di difficile comprensione per i continui rimandi letterari che lo pervadono, ma, come ebbe a dire ancora James che, pur con qualche riserva, ne apprezzava l’incantevole purezza, «nel palazzo dell’arte ci sono molte stanze e quella di cui il signor Burne-Jones tiene la chiave è un museo meraviglioso».