Altro che «completare l’opera di Sankara», come aveva promesso all’indomani della sua elezione, forse per depistare i crescenti scetticismi sul suo conto. Fresco di giuramento, Roch Marc Christian Kaboré (nella foto), nuovo presidente del Burkina Faso, dopo l’attacco terroristico che ha insanguinato Ouagadougou avrà ben altri obblighi con cui confrontarsi. E tutto passerà facilmente in cavalleria, di fronte all’imperativo “securitario” che rimbomba in ogni dove nella regione saheliana, amplificato dagli interessi di una rinnovata Françafrique, tra abituali paternalismi e vistosi riverberi neo-coloniali.

Il fatto che oggi alla guida di un paese a maggioranza musulmana ci sia un presidente cattolico, che per di più si chiama Christian, sembrerebbe già di per sé un dettaglio incendiario per qualsivoglia jihadismo. Ma che dire del fatto che in Burkina tutto sembra essere cambiato affinché nulla cambiasse nel rapporto privilegiato con Parigi? Opacità e capacità di intervento rapido erano alla base del Commandement des opérations spéciales (Cos) che si era installato a Ouaga già nel 2010, grazie agli ottimi rapporti tra Sarkozy e l’allora presidente Compaoré.

Era l’embrione dell’operazione Barkhane, che oggi coinvolge cinque paesi ma ha sempre nella capitale burkinabè il suo centro operativo, malgrado Compaoré nel frattempo sia stato rovesciato dopo 27 anni di potere assoluto da una rivolta popolare, e il tentato golpe che lo scorso settembre mirava a stroncare la transizione verso libere elezioni sia stato sventato. Lo status quo non ha subito modifiche, e non è solo la pronta reazione delle truppe francesi l’altro ieri sera a dimostrarlo.

Dopo l’attendismo iniziale, Parigi ha benedetto il nuovo corso burkinabè, rincuorata dalle movenze soft della transizione. Ma allo stesso tempo ferita e innervosita dall’ alternanza battente di colpi al cuore della Francia e di calcioni rifilati nei suoi stinchi, laggiù in Africa, dove gli scarponi delle truppe di élite restano piantati sul terreno.

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Blaise Compaoré

Tutto ciò suona dunque come un potente diversivo destinato a distrarre il Burkina dalla necessità di fare i conti con il suo passato. Un’azione avviata sia con la classica Commissione per la verità e la riconciliazione, modello Sudafrica, sia con gli eccellentissimi mandati di arresto internazionale emessi negli ultimi tempi dalla magistratura burkinabè. Prima contro l’ex dittatore Blaise Compaoré per il ruolo avuto nell’assassinio di Thomas Sankara, in quel «giovedì nero» del 1987 che disintegrò la rivoluzione degli «uomini integri». Poi con l’ordine di cattura per Guillaume Soro, attuale presidente dell’Assemblea nazionale della Costa d’Avorio, per aver ispirato il maldestro tentativo di putsch del colonnello Gilbert Dienderé.

È la notizia che venerdì aveva permesso al Burkina di “bucare” la scena mediatica internazionale ancor prima che l’attacco di Ouaga avesse luogo. L’attuale presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, che un tempo si vedeva sbarrare la strada verso il potere proprio per via delle sue origini burkinabè, ha dato rifugio al vecchio amico Compaoré e ora pare sia orientato a concedergli la cittadinanza ivoriana per salvarlo dall’estradizione senza imbarazzi ulteriori. La Costituzione infatti vieta di consegnare cittadini ivoriani ad altri paesi. A meno che non sia la Francia, a cui Ouattara deve la sua ascesa alla presidenza, a chiederne la consegna.