«Il putsch è finito, non ne parliamo più». Sottinteso scurdammoce ’o passato, che però non è passato ancora. Farebbe quasi tenerezza, il generale Dienderé, per la contrizione con cui ammette il suo «torto» e per come ne conviene che «quando si parla di democrazia certe azioni sono inammissibili». Se non fosse per la decina di morti raccolti dalle strade durante le proteste popolari e gli strascichi politici che «il golpe più imbecille del mondo», come lo ha ribattezzato la piazza, si lascerà inevitabilmente dietro.

A Ouagadougou sono rientrati nelle loro funzioni il presidente ad interim Michel Kafando e il premier Isaac Zida. Il governo di transizione è tornato a riunirsi ieri, mentre le elezioni previste per l’11 ottobre saranno posticipate di alcune settimane. La guardia presidenziale fedele al dittatore Blaise Compaoré, deposto circa un anno fa, autrice del golpe del 16 settembre e della repressione dei moti di piazza che ne sono scaturiti, ha lasciato le strade della capitale per rintanarsi nelle sue basi, forte di un accordo raggiunto con l’esercito che garantisce incolumità ai militari golpisti e alle loro famiglie.

Tutto bene quindi? Non proprio. Resta in sospeso la faccenda dell’amnistia e quella delle liste elettorali “inclusive”, che renderebbero eleggibili gli esponenti legati al vecchio regime. Non dettagli. I partiti burkinabé e i movimenti della società civile, Balai Citoyen in testa, hanno già respinto una proposta in tal senso formulata dal presidente senegalese Macky Sall durante la prima fase della mediazione messa in campo dalla Cedeao (Comunità economica dell’Africa occidentale). Sall nel frattempo ha lasciato la scena agli altri leader giunti mercoledì a Ouaga per certificare il passo indietro di Dienderé (il presidente del Benin Yayi Boni, quello del Ghana John Dramani Mahama e quello del Niger Mahamadou Issoufou, oltre al vicepresidente nigeriano Yemi Osinbajo), ma non è ancora chiaro se la proposta è tramontata con lui.

Il premier Zida si è rallegrato del fatto che «è stata fatta la volontà del popolo», aggiungendo però che ora sarebbe «inimmaginabile» non sciogliere il reggimento dei pretoriani agli ordini del generale Gilbert Dienderé.