A colpi di mazza hanno fatto a pezzi tutto: sanitari, cucine, letti, armadi, tavoli e sedie. È successo sabato scorso a Burcei, un paese di 2.800 abitanti a trentacinque chilometri da Cagliari. A essere devastato è stato il palazzo che avrebbe dovuto ospitare una ventina di rifugiati sbarcati poche giorni fa al porto di Cagliari insieme con altri trecento migranti, raccolti dalla Marina italiana di fronte alle coste della Tunisia. Lo stabile era stato messo a disposizione della rete di accoglienza organizzata dalla Regione Sardegna da un privato, Vittorio Zuncheddu, un imprenditore edile.

La reazione è stata violenta, e ha assunto i toni del peggiore razzismo. Attraverso WhatsApp un gruppo di cittadini di Burcei ha chiamato alla mobilitazione. Sul social è stato lanciato l’appello di adesione a una manifestazione davanti alla casa che avrebbe dovuto ospitare i rifugiati, per protestare contro «l’arrivo nel nostro tranquillo paese – si legge nel post – di persone di colore, con il rischio che possano essere dei delinquenti e diano fastidio a donne, bambini e anziani. Se il signor Zuncheddu vuole essere così benevolo con queste persone, che se le porti a dormire nel suo letto e a mangiare alla sua tavola».

È così che sabato mattina davanti alla palazzina di due piani (circa 130 metri quadrati) in via Roma, all’intero della quale stavano per essere avviati i lavori di ristrutturazione, si sono radunati uomini e donne, circa un centinaio. Hanno scandito slogan contro la decisione della Regione Sardegna di inserire il loro comune nella lista delle località ospitanti e ne hanno chiesto il ritiro. A un certo punto, una decina di persone si sono staccate dalla folla, hanno buttato giù con le mazze il portone d’ingresso dello stabile e, una volta all’interno, hanno distrutto sistematicamente tutto ciò che poteva essere distrutto. Prima di andare via, hanno scritto con vernice nera sulla saracinesca del garage «Pezzo di merda»: messaggio inequivocabilmente rivolto al proprietario della casa.

Non è il primo episodio di intolleranza e di esplicita violenza razzista che accade in Sardegna. A giugno, ad Aglientu, un paese della Gallura non distante da Olbia, è stato dato alle fiamme un albergo che avrebbe dovuto diventare un centro di accoglienza per migranti. A metà della scorsa settimana, il consiglio comunale di Suni, un piccolo centro in provincia di Nuoro, ha votato una delibera contro la decisione di aggiungere il paese alla lista dei luoghi in cui predisporre strutture di accoglienza. Sindaco, assessori e consiglieri comunali hanno dichiarato solennemente che se a Suni dovesse arrivare anche uno solo delle migliaia di disperati che fuggono dalla guerra e dalla fame loro si dimettebbero in massa.

Nell’isola la situazione sta diventando complicata. Una settimana fa il presidente della giunta regionale, Francesco Pigliaru, ha scritto una lettera al governo per sollecitare un intervento di razionalizzazione e di programmazione a livello nazionale. E lo stesso chiede l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) con il suo presidente regionale, Piersandro Scano. Che il problema non sia solo sardo è poi dimostrato dal fatto che proprio ieri Piero Fassino, leader nazionale dell’Anci, ha incontrato al Viminale il ministro degli interni Alfano in un vertice di verifica del piano di accoglienza nazionale alla luce di quanto sta accadendo in tutte le regioni italiane.

Scano avverte che il primo dei problemi è il mancato rispetto degli accordi in sede Ue: «Si era detto che Italia e Grecia non avrebbero dovuto sostenere a lungo quasi tutto il peso della gestione. Invece al momento solo poche migliaia di migranti sono stati collocati in altri paesi europei». «E poi – aggiunge Scano – di fatto l’accoglienza oggi è gestita da privati e il sistema comporta che gli amministratori siano informati dell’arrivo dei migranti solo a cose fatte. Questo genera tensioni; fermo restando, ovviamente, che ogni episodio di violenza va condannato senza esitazioni e perseguito con fermezza. Fassino ha chiesto al governo Renzi di farsi carico di questi problemi. Poi, oltre l’emergenza, bisognerà lavorare alla vera sfida: l’integrazione».