La riflessione che Tommaso Di Francesco apre sulla (assente) politica estera italiana assume tutta la sua importanza se letta da Tunisi, dal Forum Sociale Mondiale che in questi giorni rilancia con forza il tema dell’unione euro-mediterranea come strumento politico per ripensare l’Europa. Non è allora solo di «assenza» della politica estera che bisogna parlare, quanto di una sua subalternità culturale ed operativa ai diktat dell’economia finanziaria, in grado di orientare le scelte interne ed internazionali di un paese con scarsa memoria come il nostro.

Chi ricorda il ruolo dell’Italia in America latina sino ad una decina di anni fa? E quanto la nostra voce contasse in medio oriente prima delle parentesi berlusconiane? Che fine ha fatto la nostra cooperazione allo sviluppo, carta di presentazione importante tanto quanto la serietà dei bilanci? Sono vent’anni che il parlamento discute di rilanciare questo settore ma ad ogni legislatura non si trovano né la volontà politica né i fondi per rispettare gli impegni internazionali. Anche le politiche di immigrazione basate sulla repressione e la sistematica violazione dei diritti umani, sono «assenze» non più giustificabili. I vuoti di memoria si sommano alla miopia del presente.

Se la Cina e gli Usa si contendono, insieme ai residui coloniali di Francia e Inghilterra, i favori dei regimi africani, l’Italia chiude le sedi diplomatiche e blocca, attraverso una burocrazia demenziale, i (pochi) interventi delle Ong a sostegno dei processi democratici locali. E allora rilanciamo una vecchia intuizione politica che negli anni ’70 diede vita alla Convenzione di Lomè, il più importante accordo di cooperazione economica e commerciale, ma anche di sostegno alle società civili locali, che l’Europa firmò con i paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico: l’idea che la politica estera influenza quella interna e non viceversa. In altri termini che per profilare delle buone pratiche a livello nazionale non si può prescindere dal punto di vista internazionale. Lo ricordava Ghandi: se si è solidali oltre le proprie frontiere lo si è a maggior ragione al proprio interno.

Questo è il messaggio che arriva da Tunisi e non solo. Una pluralità di voci che non possono essere derubricate dall’agenda di un possibile governo, pena un oscuramento del sensorio politico che porta solo a nuove liti tra i «galli di Renzo» di casa nostra.