Il governo non potrà scrivere il testo unico dei regolamenti della scuola al di fuori delle strette competenze dello stato in materia di istruzione. È la conseguenza più importante dell’ultima sentenza della Corte costituzionale sulla buona scuola, pubblicata ieri assieme alle motivazioni. Deriva, paradossalmente, da una richiesta non accolta tra le tante che la regione Veneto e la regione Puglia avevano presentato alla Consulta contro la riforma della (ex) ministra Giannini.
La Corte ha dato torto quasi su tutto alle regioni, confermando una lettura restrittiva delle competenze concorrenti e, dunque, smentendo l’esigenza di una svolta centralista, come quella tentata con la riforma costituzionale. Ma ha raccomandato al governo di non eccedere dai suoi limiti quando procederà al riordino delle norme regolamentari, limiti che restano scolpiti nell’articolo 117 della Costituzione, scampato alla riforma. L’istruzione è materia di competenza concorrente tra stato e regioni, a eccezione dell’istruzione professionale che compete tutta alle regioni e delle norme generali (o sul personale) che naturalmente sono di esclusiva competenza nazionale.
Alla luce di questi principi, i giudici costituzionali (relatore Amato) hanno però accolto la richiesta della Puglia di dichiarare incostituzionale la pretesa del governo, con la buona scuola, di decidere la costruzione di «scuole innovative» senza sentire per la ripartizione delle risorse la Conferenza stato-regioni. E hanno anche tolto alla «buona scuola» la competenza sugli standard organizzativi e qualitativi della scuola dell’infanzia, riconsegnandoli alla competenza del legislatore regionale. Il governo dovrà tenerne conto quando presenterà, l’anno prossimo, i decreti attuativi della riforma.