Avevamo salutato con un certo sollievo la forte reazione sindacale all’offensiva del governo contro l’articolo 18. Quel «Renzi come la Thatcher» pronunciato da Susanna Camusso aveva fatto centro, scatenando l’ira del premier, affidata al video-messaggio, in stile berlusconiano, nei telegiornali della sera. Al colpo battuto dalla Cgil, obiettivo prediletto della furia antisindacale di Renzi, faceva eco anche il duro giudizio del leader della Fiom, Landini, sulla «presa in giro» del contratto «a tutele crescenti».

La presa d’atto di un presidente-segretario insultante e minaccioso, paladino di una riforma che non spiega quando, come e per chi cresceranno le tutele, mentre è chiaro a chi si vuole togliere quel poco che ancora resta dello statuto dei lavoratori. Da cancellare addirittura con un decreto perché, secondo Renzi «alcune cose vanno cambiate anche in modo violento».

Tuttavia restavano separate le date delle mobilitazioni di Fiom e Cgil, come se neppure il pesantissimo attacco di renziani e berlusconiani, uniti nella lotta al sindacato, bastasse a rimettere insieme le forze. Ieri, invece, la Cgil ha battuto un altro colpo con l’indicazione di una manifestazione di tutta la Confederazione (Fiom compresa) nella storica piazza di S.Giovanni per il 25 di ottobre. È un segnale importante, in controtendenza rispetto alle forti divisioni interne, culminate nei contrasti dell’ultimo congresso Cgil.

Convocare la piazza unitariamente invia alla sinistra, alla società e al Pd il messaggio di un’opposizione sociale in campo. Dice alla sinistra che ancora esistono diritti e principi che si possono oltrepassare solo al prezzo di smarrire definitivamente la propria storia. Dice a chi lavora e a chi è disoccupato che il sindacato può ancora trovare la forza di stare dalla parte dei più indifesi. E dice al Pd che la mutazione renziana di quel che resta del partito, troverà nel sindacato una forza difficile da liquidare con un voto in direzione.