Oggi Nelson Mandela compie 95 anni. Ancora una sfida per il protagonista della lotta all’apartheid e delle lotte di liberazione dei popoli non solo africani, proprio nei giorni della pericolosa attualità del razzismo, in Italia e nel mondo. Non lo vorremmo e speriamo che non lo sia – come da ultimi rapporti medici che dicono che risponde alle cure – ma per le sue pessime condizioni di salute, effetto dei postumi della sua lunga prigionia, è probabile che questo sia il suo ultimo compleanno.

Da molte settimane si consuma l’attesa della sua morte. Al punto che tutti corrono a confrontare questa attesa con le morti eccellenti dell’ultimo quarto di secolo passato. Alcuni straparlano del dittatore Franco – come se i due fossero confrontabili – altri dei due mesi di incerta situazione per la morte del presidente jugoslavo Tito, altri ancora citano la morte non-morte dell’ex premier israeliano Ariel Sharon, caduto in coma dopo una maledizione rabbinica per via di una supposta trattativa con i palestinesi, che tale è rimasta visto che quella realtà è sempre più disperata per i palestinesi e sempre più prepotente la protervia dell’occupante israeliano.

Questa attesa in realtà è insieme più dolorosa e più cogente e rischia di segnare una sensibile linea di rottura con il passato: il Sudafrica infatti già da molto tempo non è più quello di Nelson Mandela. Rincorre a tutti i costi l’ascesa economica dei Paesi (come Cina e Brasile) che, anche loro a costi sociali elevati, avanzano a concorrere nel recinto del capitalismo internazionale in crisi profonda. Mentre internamente emerge con forza il nodo sotteso e irrisolto dell’apartheid economico, delle disuguaglianze sociali e della separazione perversa tra governanti e governati anche lì dove al potere è l’Anc, lo strumento che pure è stato quello della liberazione dall’abietto apartheid razzista dei bianchi. Le township, ristrutturate e ammodernate, restano spesso soltanto ghetti; le lotte dei contadini, degli operai e in particolare dei minatori contro salari di fame finiscono, come recentemente, nel sangue di una repressione poliziesca che sembra una condanna ereditaria.

Il combattente Madiba compie l’ultimo compleanno di una vittoria e di una conquista che restano indiscutibili. Il mondo ne prese atto con il tardivo annuncio del Nobel per la pace assegnato tuttavia a metà a De Klerk, il premier che rappresentava pur sempre il misfatto bianco che lì si era consumato, spesso grazie alle complicità e ai silenzi internazionali internazionale. Ma anche quell’accettazione e il periodo di trasformazioni democratiche che seguirono furono nel segno di Mandela: la Commissione di verità e giustizia resta ancora il modello più elevato – e purtroppo più dimenticato – che mai si sia conosciuto per riconciliare, condividendo le responsabilità, società massacrate da decenni di conflitto violento.

Ora il popolo sudafricano sembra diviso, nella festa gioiosa e riconoscente per il compleanno del suo legittimo leader, tra chi non vuole “mandarlo via” e chi più credibilmente vuole aprire gli occhi sul presente. Tra chi da una parte ha voluto tenerlo in vita a tutti i costi per celebrarlo con nuove abbellite cerimonie e chi dall’altra è pronto all’addio ma vuole usare il rigore, il coraggio e la serenità di Nelson Mandela per trasformare il suo sogno in una nuova leva di liberazione. Tanti auguri Madiba, tanti auguri Sudafrica.