«Il 5 luglio 2015 resterà nella nostra memoria come il giorno in cui il popolo greco ha espresso ancora una volta, in modo assai chiaro, il suo rifiuto del proseguimento del Memorandum. La netta maggioranza ha dimostrato che il popolo greco dava mandato al governo di opporsi con la fermezza necessaria alla distruzione di beni comuni e dei diritti economici, sociali, culturali, civili e politici»…

Così scrive Eric Toussaint, coordinatore del Comitato per l’annullamento dei Debiti Illegittimi, ricordando che un anno fa la Grecia rifiutava l’austerità con un referendum promosso dal governo di Tsipras.

È stato più di un evento locale: per le sinistre radicali la questione Grecia era diventata centrale nell’agenda, con un piccolo paese ribelle di fronte ai potentati eurocratici. Contrasto dalla forza simbolica su più livelli: Davide contro Golia, sinistra verso destra liberista… tutti a favore nel NO alla Troika, tutti per l’Oxi («no» in greco).

Un anno dopo di Grecia non parla quasi più nessuno. E parte dei motivi consiste nel fatto che la lettera di Toussaint è rivolta ai manifestanti che il 5 luglio 2016 scendono in piazza. Contro il governo, contro Tsipras.

Purtroppo Davide non è riuscito a vincere: il terzo Memorandum viene applicato. L’austerità continua.

Toussaint non è un osservatore qualsiasi. Ha coordinato la Commissione sulla verità sul debito creata per volontà della presidente del Parlamento greco. Nella sua lettera elenca brevemente quello che si sarebbe dovuto fare per dare consequenzialità alla volontà popolare: «Sospendere il pagamento del debito, nazionalizzare le banche, creare una valuta complementare all’euro, far pagare più tasse ai ricchi». La Commissione ha mostrato l’illegittimità del debito pubblico che i greci stanno pagando, ma il governo di Syriza non si è appellato a tale assunto per rigettarlo.

James Galbraight ha recentemente dato alle stampe un libro in cui riassume gli eventi di cui è stato testimone l’anno scorso, quando in qualità di consulente ha affiancato Varoufakis.

E rivela che un piano B in effetti c’era: comportava la dichiarazione di stato di emergenza, la nazionalizazione del sistema bancario inclusa la banca centrale, la mutazione dei depositi in euro alla nuova dracma, pagamento di salari e pensioni nella nuova valuta, misure per mantenere l’ordine pubblico.

Anche Varoufakis ne aveva parlato a gennaio scorso. Galbraight non nasconde il disappunto per il fatto che non sia stato messo in pratica. Non si sa se lo strappo istituzionale sarebbe stato più doloroso del Memorandum che Syriza ha accettato.

Ma pare difficile, guardando alla relazione annuale della Banca di Grecia in merito alla situazione sanitaria: aumento di suicidi, mortalità infantile (+50%), malattie croniche (+24%); 79% della popolazione senza copertura se perde il lavoro; percentuali a due cifre di persone che non hanno ricevuto trattamenti sanitari o che non hanno comprato le medicine per il loro costo…

Bilancio agghiacciante ma non imprevisto, molto in linea con i rapporti dell’europarlamento e del Consiglio d’Europa.

Frattanto l’integrazione comunitaria continua: lo sfaldamento politico, la crisi dei migranti, il Brexit non pare arrivino a lambire le alture inaccessibili del processo più opaco che sia in corso, l’unione del mercato dei capitali, logico passo dopo l’unificazione monetaria e bancaria. Cioè il mercato delle obbligazioni o bond.

Si tratta di un passo verso il modello Usa dove le banche non hanno l’importanza come in Europa per le imprese, che si approvvigionano direttamente sul mercato di capitali.

E nessuno pensa a fare referendum su questo: né le sinistre progressiste né le destre xenofobe.