«In un mondo senza cielo, la terra si tramuta in abisso… Grida per sentirti e grida di sapere di essere ancora vivo e vivo, che la vita su questa terra è possibile, inventa una speranza per le parole, inventa un punto cardinale o un miraggio che prolunghi la speranza e canta, che il bello è libertà…». Sono versi di Mahmud Darwish dedicati a Edward Said, in una delle sue ultime raccolte di poesie, pubblicate in Italia nel 2007 (Epochè), l’anno prima della sua morte a 67 anni. «Contrappunto» s’intitola la poesia.

Inizia con il loro primo incontro e termina con l’ultimo, a New York. «Quando sono andato a trovarlo nella nuova Sodoma, nel duemiladue, stava combattendo la guerra di Sodoma contro i Babilonesi e il cancro. Era l’ultimo eroe epico, difendeva il diritto di Troia alla sua parte di racconto». E gli disse: «Vivremo anche se la vita ci abbandonasse a noi stessi. Siamo i signori delle parole». Mahmud Darwish è il poeta della «terra più amata», palestinese, arabo e cittadino del mondo, come la sua poesia, radicata nella sua identità, ma capace di trascendere ed espandersi in ogni sentire: l’esilio, l’oblio, la memoria, l’assenza, la patria, la «terra come la lingua», la vita e la morte, il corpo, i colori, i fiumi, gli ulivi, le case, i cavalli, le montagne, gli odori, il profumo dei gelsomini, il caffè di sua madre, la nostalgia del passato e del futuro, lo stato d’assedio, la speranza, l’impossibile, i sogni dei gigli bianchi, e tanto altro.

Una poesia, la sua, in mutazione continua, vissuta nel contesto storico della tragedia del suo popolo, che entra a far parte della memoria del mondo più attraverso i versi dei suoi poeti che degli storici. Una poesia che si fa universale, come in «Undici Pianeti», titolo tratto da una sura del Corano dove Giuseppe dice a suo padre Giacobbe di aver avuto da Dio la facoltà, attraverso i sogni, di interpretare il passato e prevedere il futuro. Qui il poeta attraversa il 1492, con la conquista dell’America e la definitiva cacciata di arabi ed ebrei dall’Andalusia. Il «Penultimo discorso del “pellerossa” all’uomo bianco» è un canto contro i crimini commessi contro tutti i popoli privati della loro terra, sfruttati, esiliati, dai nativi americani agli arabi , dagli ebrei dell’Andalusia ai palestinesi.

AssoPacePalestina vuol far conoscere la sua opera, in occasione dell’ottantesimo anniversario della sua nascita (13 marzo 1941), come anche la ricca e articolata cultura palestinese, contro la sua rimozione operata dai nostri media e dalle case editrici. E invita tutte e tutti a «Buon compleanno Mahmud Darwish, poeta del Mondo», in diretta sulla pagina Fb di AssoPacePalestina,

Sabato 13 marzo, ore 18 raccoglie le testimonianze e i ricordi degli amici e amiche , come il celebre cantante e musicista Marcel Khalife, lo scrittore e storico Elias Sanbar, la politica e scrittrice Leila Shahid, il poeta Ghassan Zaqtan, la cantante lirica Tania Tamari Nasir, l’attrice Bayan Shbib e la scrittrice Suad Amiry.
Coordinato da Stefano Casi, Wasim Dahmash, Luisa Morgantini e Simone Sibilio.

Giovedi 18 marzo alle ore 21, sempre in diretta Facebook, sarà possibile vedere il docufilm “Mahmoud Darwich – Et la terre, comme la langue” realizzato da Simone Bitton e Elias Sanbar nel 1997 (sottotitoli italiani); introduce la regista Simone Bitton.

Domenica 21 marzo alle ore 18 sarà il momento della poesia: poeti e musicisti, italiani e palestinesi, si uniscono in un omaggio a Darwish, leggendo e interpretando i suoi versi. L’appuntamento, condotto da Nabil Salameh (Radiodervish) e Massimo Colazzo, vede la partecipazione di Mohammad Bakri, Nai Barghouti, Marcel Khalife, Tommaso Di Francesco, Moni Ovadia, Giuliano Scabia, Alberto Masala, Donatella Allegro, Omar Suleiman, Dalal Suleiman , Bayan Shbib e Ramzy Abu Radwan (AlKatmandjati).