Per un verso la quantità di cibo a disposizione sul mercato cresce, per l’altro aumentano le persone che non hanno sufficienti risorse economiche per acquistarlo. Accade nelle nostre città, silenziosamente. Capita che sia la storia del nostro vicino, ma non ce ne siamo mai accorti. Il consumismo e i suoi tragici paradossi impongono, oltre alla qualità, criteri di bellezza. Ciò che oggi è esteticamente degno di essere offerto al consumatore, domani andrà sostituito. Non perché scaduto, ma perché brutto, corrugato. Bastano ventiquattro ore per trasformare un alimento in rifiuto.

Nel frattempo c’è chi vorrebbe acquistarlo anche «brutto» ma non può permetterselo. L’onlus RecuperiAMOci di Bisceglie, in Puglia, ha colto questa contraddizione dieci anni fa. Sabato scorso, infatti, ha festeggiato il suo decimo anniversario. Ogni sera dal martedì al sabato fornisce alimenti di recupero mediamente a 50 famiglie bisognose, composte da italiani e stranieri residenti nella cittadina a poco più di 40 chilometri di distanza da Bari. In elenco i fruitori sono circa quattrocento.

CAPITA CHE SI ASSENTINO per dei periodi e poi tornino, quando il lavoro riprende a scarseggiare. Soprattutto in inverno, quando i lavori agricoli subiscono una battuta d’arresto. La lunga tradizione delle parrocchie di distribuire prodotti a lunga scadenza qui si è evoluta, attraverso il recupero di cibo invenduto, come frutta, verdura, ma anche cornetti, pane, focaccia. Al mattino i volontari di RecuperiAMOci, in totale circa una ventina, si occupano del prelievo degli alimenti. Tra piccoli e grandi fornitori sono quaranta le aziende che hanno aderito all’iniziativa. In paese, la conoscono in tanti. Infatti talvolta sono gli stessi commercianti a chiamare la onlus. I panifici ad esempio conservano il pane cotto in giornata e non venduto per la mattina successiva, quando passa il furgoncino con i volontari a prenderlo. Prima quel cibo andava agli allevatori che lo davano agli animali. «Oggi – racconta Rufina Di Modugno, la presidente di RecuperiAMOci – si ha un’attenzione in più e un nuovo modo di smaltire, che genera entusiasmo tra i negozianti». Il progetto nasce da una sua idea. Inizialmente è stato promosso dalla Caritas e dal Comune.

L’ONLUS HA SEDE IN UNA STRUTTURA diocesana, l’ex convento dei Cappuccini, e fa fronte con delle donazioni alle spese vive che riguardano soprattutto la gestione del mezzo con cui viene recuperato il cibo. Ad accomunare i volontari non c’è necessariamente lo stesso credo religioso. Mentre Rufina Di Modugno vede in questa attività la concretizzazione del Vangelo di Marco, Francesco Lerario riesce a cogliere un’eco marxista persino nell’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco. Lui di giorno lavora come docente di lettere a scuola e nel pomeriggio dà il suo contributo in sede: «Siamo i primi tifosi dell’approvazione di una legge nazionale e di una regionale che possano disciplinare e favorire l’azione del recupero e della distribuzione del cibo – spiega – vorremmo diffondere questo nostro impegno e invitare i cittadini consapevoli e solidali a non sprecare».

I VOLONTARI HANNO QUASI TUTTI più di quarant’anni e storie di vita diverse, accomunate dal desiderio di «rimettere al centro il cibo» per sconfiggere la povertà. Sono pensionati, lavoratori o ex-fruitori del progetto. Tra loro c’è un signore algerino trasferitosi in Puglia quindici anni fa, che oggi collabora come mediatore linguistico quando tra gli utenti ci sono suoi connazionali. «Nell’ottica dell’economia circolare – avverte Rufina Di Modugno – questo progetto consente al cibo di tornare nel circuito per cui è nato». Non sono da sottovalutare i benefici che il recupero degli alimenti ha sull’impatto ambientale, riducendo la quantità di rifiuti in discarica. Né il valore educativo che veicola, perché educa a nuovi stili di vita sia le aziende sia i cittadini. «All’inizio – raccontano i volontari – chi veniva prendeva tutto ciò che era a disposizione, col tempo ha imparato a prendere solo ciò che gli serve».

SI TRATTA DI ALIMENTI ANCORA buoni e nutrienti. Li forniscono sia alcuni imprenditori agricoli del mercato generale della vicina Molfetta sia i commercianti di Bisceglie. Il furgoncino di RecuperiAMOci dalle 8 alle 10 del mattino passa in rassegna le varie attività commerciali. D’estate fa tappa anche nelle sale ricevimenti e nei ristoranti. Al termine dei matrimoni e delle comunioni, quello che non è stato servito viene regalato alla onlus. Capita pure che ci siano sposi che decidono preventivamente di destinare ciò non si utilizza. Una volta prelevato ciò che c’è di buono e che non può essere più commercializzato, il cibo viene selezionato, pulito nel caso delle verdure, porzionato e impacchettato. Talvolta, ad aiutare i volontari, ci sono anche gli studenti in alternanza scuola-lavoro o alcuni pazienti di un centro locale per persone affette da disturbi psichici. Poco prima che si apra la porta dell’ex convento viene affisso un «menù», in cui sono elencati i prodotti disponibili. Su un diario si prende nota delle quantità di alimenti recuperati. Dalle 18 alle 19 inizia la distribuzione. Molti degli utenti si recano con largo anticipo e utilizzano il tempo di attesa per salutarsi, stare insieme e chiacchierare. Un ritrovo tra amici di lingue e nazionalità diverse.

CI SONO PERSONE DI TUTTE LE ETÀ. Italiani e stranieri. «Nel corso degli anni – spiegano i volontari – la povertà è cambiata». C’è chi ha lavorato per una vita e oggi non può fare la spesa perché vive di una pensione minima. E chi ha la famiglia lontana e spedisce quel po’ che guadagna a casa. Ci sono mamme e donne sole. Uomini separati e anziani. Uno di loro è Giacomo, 78 anni. Un tempo aveva una pescheria. L’attività a un certo punto è fallita. Dieci anni fa è andato in pensione. Riceve il minimo. Sua moglie è più giovane di lui e non ne ha ancora diritto. A casa sono in tre, assieme al figlio venticinquenne disoccupato. Dividono 600 euro al mese e ogni sera hanno qualcosa da cucinare grazie a RecuperiAMOci.