In cima alle classifiche podcast Usa c’è da qualche giorno Bunga Bunga, il titolo della serie che in otto puntate racconta la saga di Silvio Berlusconi al pubblico americano. Prodotto da una delle maggiori case di podcast, la Wondery (finanziamenti anche Disney) la serie audio è condotta da Whitney Cummings, nota soprattutto per il suo lavoro di standup.
Cummings ripercorre l’epopea del magnate proto populista come storia di surrealismo politico italiano ma anche con un occhio all’America del 2020. «Tracciamo la parabola italiana dall’illusione di benessere e glamour della ricchezza all’inevitabile decadenza, fino allo squallore» ha sostenuto Cummings, intervenuta ad un’anteprima per la stampa. «È una storia che tratta di una superficialità imperante. L’abilità di Berlusconi è stata soprattutto nel rivolgersi agli impulsi più carnali e ‘primordiali’, una qualità assai pericolosa come dimostrano gli attuali sviluppi americani. Ci siamo tutti rivelati suscettibili a leader che sanno mentire aggressivamente….».
Il berlusconismo insomma come parabola «originaria» dell’era post politica, che ha spianato la strada alla recrudescenza populista globale – e quindi anche all’ascesa di Donald Trump – resa beninteso col tono semiserio cui si presta nei molti risvolti grotteschi. La produzione, che segue Berlusconi dagli esordi come crooner da crociera fino alle olgettine ed il protratto crepuscolo, si basa sul lavoro di una redazione che ha utilizzato giornalisti americani ed italiani, fra cui Guglielmo Maggioli e Giulia Alagna che hanno intervistato protagonisti, magistrati e testimoni come Fedele Confalonieri e Vittorio Dotti. Per dipanare la matassa – obbiettivamente densa per l’ascoltatore non-italiano – intervengono tra gli altri Alexander Stille, Alan Friedman e le corrispondenti Usa in Italia Barbie Nadeau e Silvia Poggioli. Un prodotto di «infotainment virtuoso» insomma, che in definitiva vuole essere, come dice Cummings, «un’eco stupefacente, emozionale e profonda di dove può portare la corruzione e l’abuso di potere abbinati ad un controllo monopolistico dei mass media».
E dietro alla divulgazione un po’ «pop» di una rutilante vicenda cultural-politica per un pubblico «neofita» c’è questa idea, come spiega l’autore Benjamin Gary, con cui abbiamo parlato del podcast: «Con Berlusconi è come se (noi americani) potessimo sbirciare dieci anni nel futuro. Vedere la parabola completa dell’ascesa al potere di un personaggio manipolatore di questo calibro. Qui siamo al terzo anno dell’era Trump e a molti non sembra esserci via d’uscita. Ma nella storia di Berlusconi si intravedono un inizio, un centro ed una fine. Ed è certamente un avvertimento: con questo tipo di leader non finisce bene, e può finire terribilmente peggio di quello che la gente si possa immaginare».

Perché raccontare ora Berlusconi all’America?

In un certo senso il suo personaggio nasce in America. Berlusconi stesso si ispira inizialmente al mondo delle soap patinate, ai personaggi che guidano auto di lusso e sfoggiano belle donne su grandi yacht e in fastose dimore. È JR di Dallas, un archetipo americano quindi in un certo senso Berlusconi è stato esportato in Italia da qui.

E i paralleli con Trump?

Sono fin troppo evidenti. Anche se quando penso a Berlusconi c’è sempre un po’ di «sole in tasca» nell’immagine che ostenta. Trump non ha nulla di questo, è il contrario, fosco – non lo si vede mai sorridere. E però possiede un’arma che neanche Berlusconi aveva: gli algoritmi e l’immenso potere di consenso che ne deriva. Mi chiedo cosa sarebbe potuto succedere se Berlusconi avesse avuto i social media. Insomma ci sono somiglianze e differenze, soprattutto per quanto riguarda l’elemento più sinistro del trumpismo. Abbiamo cercato di restare più possibile fedeli alla storia dell’uomo Berlusconi. Poi siamo contenti se gli ascoltatori coglieranno le assonanze e paralleli.

Berlusconi come precursore quindi?

Un modo per riflettere su Trump in un momento in cui la frattura politica in America impedisce ogni dibattito. Soprattutto spero che alla fine gli ascoltatori possano trarne un po’ di empatia – non dico necessariamente nei confronti di Berlusconi – ma empatia per un paese… per la storia. Per come le cose che viviamo oggi sono già accadute prima. Un po’ di prospettiva storica credo possa essere utile oggi .