Quel che colpisce nelle immagini diffuse dai media sui fatti della scuola di Lucca è un’aria di tragica normalità. Ricorda altre recenti vicende come quella di una insegnante, quasi in «balia» di una classe in pieno subbuglio, rassegnata, impossibilitata ad agire.

Tanto da non essere neppure stata lei a denunciare il fatto. Non è comunque sempre la stessa liturgia: in alcuni casi la classe sembra indifferente o estranea a quanto avviene, in altri casi parteggia per l’una o per l’altra parte.

Ma quel che è più preoccupante è che al di là dei fatti, quel che sembra interessare gli alunni è la «visualizzazione» di quegli stessi fatti e la loro diffusione nel web. Che finisce col contare, anche di più della vita reale. E allora non siamo più solo in una situazione di allarme singolo.

Siamo in una situazione nella quale quello a cui stiamo assistendo rischia di essere solo la punta di un iceberg: l’evidenza di un malessere più profondo, che le recenti riforme o presunte tali non solo non hanno risolto, ma addirittura aggravato.Quella scuola che ci raccontano quei video è una scuola antica, quella della lezione frontale, dove conta il voto che assolve o condanna. Dove gli insegnanti sembrano stremati e soli, senza neanche la voglia di socializzare i problemi. Dove il tema di cosa si insegna e si impara a scuola, e come, sembra una questione dimenticata.

Vi ricordate:«un po’di inglese, un po’ di informatica» o le quattro chiacchiere a proposito di sapere della scuola contenute nella legge 107?

Ma questa scuola non è la realtà. Anzi le è antitetica. L’individualismo ha permeato la società, le famiglie sostengono i figli, anziché educarli, tutto marcia al contrario.

Si è interrotta, e da tempo, nonostante l’impegno «accanito» di tanti docenti che continuano a fare una «buona scuola», una riflessione sul rapporto tra cultura della scuola e contemporaneità, sul sapere capace di fornire strumenti per conoscere, capire, diventare cittadine e cittadini di un mondo sempre più vasto. E si è pensato addirittura che per essere preparati al mondo, che poi sarebbe solo quello della produzione, possa bastare l’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro, realizzata come fosse un’ altra materia di studio. E con esperienze denunciate dalle stesse studentesse e studenti come inutili o addirittura negative. (Dai McDonald a Zara).

Manca da tempo un’attenzione, forse anche un bilancio di quel che sta succedendo nelle scuole. Dove certo, i fatti di questi giorni non sono la norma, ma rappresentano un allarme, di cui tener conto.

Colpisce ancora il silenzio delle famiglie di fronte a questi fenomeni, quelle famiglie che spesso si comportano solo da utenti, alle volte rissosi e violenti, piuttosto che come componente essenziale del più complessivo governo del sistema.

La scuola è sola, di fronte a problemi enormi. Sono soli i suoi insegnanti, «stanchi di guerra», sono soli quei bulli, sono sole le famiglie e sono soli persino i dirigenti. E purtroppo la scuola torna alla ribalta solo per questi «scandali».

E allora bisogna ricominciare a ricostruire quel tessuto solidale nella scuola e intorno alla scuola, come già tante scuole e territori fanno- ma di loro non c’è traccia nei media- perché hanno capito, a differenza dei mestieranti della politica, che i luoghi della formazione sono decisivi per costruire un futuro migliore per tutte e tutti.