Il servizio Bilancio del senato rifà i conti al decreto Renzi, quello del bonus. È il suo mestiere. E solleva dubbi sulla copertura. Non del bonus (gli 80 euro), peraltro, ma del taglio dell’Irap (l’imposta a carico delle imprese). Renzi si imbestialisce. Niente di eccezionale, accadeva anche a Tremonti. Ma la novità è che l’attuale presidente del Consiglio prima allude: «Non è un caso che quelle critiche vengano dal senato che io voglio abolire» (ma come, ai senatori ha giurato che si trattava di una riforma, giammai di un’abolizione). Poi, in televisione, a sera tardi e al mattino presto, attacca: «I tecnici del senato dicono il falso». E assicura che le coperture ci sono. Ma parla del bonus – che è più popolare – non dell’Irap. Il bullo della diretta.

A proposito di falsi, chi aveva detto che gli 80 euro sarebbero arrivati anche ai più poveri, quelli che guadagnano talmente poco da non pagare le tasse? E chi aveva promesso che la riforma del senato sarebbe stata approvata prima delle elezioni europee? Non i tecnici del senato. Era stato Renzi piuttosto, che immagina però di cavarsela rovesciando l’accusa di falso sui «burocrati». Gli piace vincere facile. Accarezza a favore di pelo l’opinione pubblica, addomesticata da una lunga campagna anticasta al punto da non distinguere imbrogliati e imbroglioni. È in fondo il segreto di tutti i populismi. Quelli che Renzi dice di voler combattere e invece asseconda.

Annichilisce ogni opposizione, almeno ci prova non rispondendo nel merito ma insultando: burocrati, corporativi, rosiconi, professoroni, gufi. E fa questa scena da palazzo Chigi. È una «rivoluzione», come propaganda quando si tratta di scegliere l’indirizzo email dove inviare le proprie opinioni (meglio avere a che fare con la ggente che con i sindacati) o quella di Renzi è la tecnica classica della conservazione? Del resto questo è il paese – lo racconta l’inchiesta Expo – in cui i nuovi corruttori sono quelli vecchi, e mentre corrompono si lamentano della casta. Cioè di quei politici che ritengono agganciabili, tra i quali c’è il ministro Lupi del governo Renzi.

Quando (raramente) non lo si compiace, il presidente del Consiglio diventa inquieto. Proprio come in questi giorni la polizia quando se ne denunciano sbagli e violenze. Similmente il presidente del Consiglio reagisce alzando i toni. Non ammettendo critiche. Due inquietudini da non sottovalutare.