È il 27 agosto 2015. Un camion abbandonato lungo la corsia d’emergenza dell’autostrada A4, non lontano dalla capitale austriaca Vienna. Al suo interno vengono rinvenuti i corpi senza vita di 71 persone: 59 uomini, 8 donne e 4 bambini. Sono rifugiati siriani, morti soffocati nel tentativo di raggiungere il sogno di una nuova vita nel cuore dell’Europa. Il camion viaggiava col logo di un allevamento di polli slovacco e con targa ungherese. Le indagini di polizia, però, puntano il dito in un’altra direzione: sei delle sette persone arrestate sono infatti di nazionalità bulgara (il settimo è afghano).

Un episodio tragico, che ha messo sotto i riflettori il ruolo di reti e soggetti bulgari coinvolti nel business del traffico di persone, alimentato dalla grande fuga da Siria, Iraq e Afghanistan attraverso la cosiddetta «rotta balcanica».

Seppure ai margini dell’attuale massiccia ondata di arrivi, sviluppatasi lungo l’asse Grecia-Macedonia-Serbia-Ungheria (e più recentemente Croazia), la Bulgaria – membro e confine esterno dell’Unione europea – resta un importante paese di transito. Secondo i dati del ministero dell’Interno di Sofia, da inizio 2015 sono almeno 17mila i rifugiati e richiedenti asilo fermati in Bulgaria. Tutti o quasi, intenzionati a proseguire il proprio viaggio verso Austria, Germania o Svezia.

Un reato di natura ambigua

Vista la sua posizione geografica, la Bulgaria è un paese tradizionalmente attraversato da canali illegali utilizzati per il trasporto di persone, armi e droga. Il paese viene regolarmente citato come luogo d’origine e di transito nei rapporti internazionali sul traffico di persone, come quello pubblicato annualmente dal Dipartimento di Stato americano.
Dal punto di vista strettamente legale, però, c’è un forte dibattito – sia a livello interno che internazionale – sull’opportunità di inserire il supporto e/o trasporto di rifugiati e richiedenti asilo nella categoria più generale del «traffico di persone».

«Tradizionalmente il concetto di traffico implica un trasferimento di persone con l’intento esplicito di sfruttare successivamente i soggetti trafficati. Tipici esempi, lo sfruttamento sessuale e di forza lavoro. Nel caso dei profughi, il rapporto tra ’clienti’ e ’trafficanti’ si conclude quando chi viaggia arriva a destinazione», ci spiega un esperto bulgaro di trafficking, che preferisce rimanere anonimo, data la sensibilità del suo campo di specializzazione.

Dal punto di vista di chi tenta di arrivare nei paesi dell’Europa ricca attraverso i Balcani, i cosiddetti trafficanti rappresentano una medaglia a due facce: se da una parte infatti i «facilitatori» sfruttano lo stato di necessità di chi viaggia, spesso mettendo i propri clienti in situazione di estremo pericolo, dall’altra forniscono un appoggio necessario – e senza alternative – per superare i muri, fisici e legali eretti lungo la via.

Nuovi strumenti legali

La natura ambigua del reato, insieme alla sua relativa novità (in Bulgaria l’arrivo di profughi ha iniziato a toccare numeri importanti solo dalla seconda metà del 2013) hanno contribuito alla sostanziale inadeguatezza degli strumenti legali necessari a contrastare il fenomeno. Fino a poche settimane fa, l’unico reato previsto dal codice bulgaro (articolo 280) era infatti quello che sanziona il trasporto illegale di persone attraverso i confini statali.

«Nel caso dei migranti non è semplice contrastare il traffico. Nella maggior parte dei casi è infatti complicato dimostrare l’intenzione di commettere reato e le sanzioni previste sono quasi soltanto di carattere amministrativo e pecuniario», è la posizione recentemente espressa dal vice-ministro degli Interni Filip Gunev. «Anche la tecnologia rende più difficile l’opera delle forze dell’ordine: oggi i trafficanti raramente si avvicinano alla linea di confine, ma si limitano a fornire ai migranti indicazioni e un apparecchio Gps».

A fine settembre il parlamento di Sofia ha approvato una serie di modifiche al codice che rende più pesanti le pene per i trafficanti: da uno a sei anni per chi aiuta persone ad attraversare illegalmente la frontiera, che possono aumentare fino a dieci se chi passa la frontiera è minorenne, oppure se il trasporto mette i «clienti» in pericolo di vita. Chi fornisce riparo a profughi e migranti, invece, rischia multe da 5mila a 10mila leva (2500 – 5000 euro).

«Oltre alle modifiche di legge, costituiremo uno speciale team dedicato alla lotta al traffico, in collaborazione tra il ministero degli Interni e le procure», ha aggiunto il vice-ministro Gunev.

I primi risultati sono diventati visibili nei primi giorni di ottobre, quando la polizia bulgara ha dato vita a quella che probabilmente è l’azione più massiccia contro il traffico di profughi, a Sofia e in altre città della Bulgaria, con l’arresto di 46 persone, l’identificazione di 500 migranti non registrati e il sequestro di numerose armi da fuoco. «È facile trasformare una rotta tradizionalmente utilizzata per traffici illegali in un canale per il trasporto di migranti, persone vulnerabili e pronte a rischiare», ha dichiarato di recente Kamelia Dimitrova, presidente della Commissione per la lotta al trafficking del parlamento di Sofia.

L’identikit del trafficante

Posizione rilanciata dal ministro degli Interni Rumyana Bachvarova: «La crescente pressione migratoria verso l’Europa fa sì che molti gruppi criminali iniziano ad occuparsi seriamente [di traffico di migranti], perché si guadagnano soldi facili».

La preoccupazione che traspare è che le potenti reti bulgare dedite al trafficking abbiano già reindirizzato le proprie risorse, contatti, capitali e know-how nel «business rifugiati».

L’esperto bulgaro intervistato da OBC fornisce però un quadro più complesso. «Le strutture criminali più solide, quelle che controllano il traffico di droga o di persone, almeno per il momento non sembrano giocare un ruolo di primo piano. Il trasporto di migranti per loro è gravido di rischi: l’identità delle persone trasportate è quasi sempre ignota, esiste un’importante barriera linguistica, il processo è seguito da vicino dai servizi di sicurezza e gli introiti, anche se corposi, non sono stabili».

Per lo specialista, a facilitare il movimento di rifugiati nel passaggio delle frontiere e attraverso la Bulgaria, al momento è una galassia di soggetti diversi. «Ci sono sicuramente molti vecchi esponenti della criminalità comune, in cerca di guadagni facili. Ci sono poi persone residenti nelle aree di confine, che conoscono il territorio e da sempre attraversano la frontiera in modo irregolare per i motivi più diversi. Ma anche una serie di categorie messe alle strette dalla crisi economica, come quella dei tassisti, può essere tentata da un’attività illegale redditizia e, finora, poco rischiosa».

Se il flusso migratorio dovesse continuare nel futuro, avverte però l’esperto «non è improbabile che la criminalità organizzata tenti di mettere le mani stabilmente sul business».

* Osservatorio Balcani e Caucaso